La storia della mia vita[1]
Questa storia non è scritta per lamentarmi delle mie sofferenze, né per mettere in risalto i capitoli oscuri della mia vita. Tante persone in questo mondo hanno subito ferite più profonde e dolori più pesanti dei miei. Il mio unico scopo nel raccontare questa vicenda è mostrare la luce che si nasconde nel cuore delle tenebre; una luce che, se cercata con cuore aperto, non ci abbandona mai, nemmeno nelle notti più buie della vita.
Ora che scrivo queste righe, è primavera del 2025 e sto per compiere quarant’anni. Vengo dall’Iran, dal cuore di un Medio Oriente turbolento. L’immagine dominante della mia infanzia è la guerra tra Iran e Iraq. Tre dei miei fratelli e mio padre partirono per il fronte, e mia madre, con le mani vuote, divenne madre e padre per tutti noi. Due dei miei fratelli tornarono con gravi ferite fisiche e mentali. Il terzo… lo abbiamo atteso per dieci lunghi anni, finché un giorno ci restituirono soltanto alcune ossa e una piastrina metallica. Quel giorno, pur segnando la fine dell’attesa, diede inizio a un dolore che non ha mai abbandonato il cuore di mia madre.
Ero il figlio più piccolo della famiglia; ho sempre cercato di rendere orgogliosi miei cari. Studiavo e lavoravo allo stesso tempo: idraulica, saldatura, pittura edile. Tuttavia, le condizioni sociali ed economiche in Iran si ponevano come un muro invalicabile davanti al mio progresso. Un giorno mi sono stancato. Mi sono sentito deluso da Dio, e la mia fede ha vacillato. Ma circa tre anni fa, Gli ho chiesto di nuovo aiuto… non per denaro o potere, ma per la fede. Gli ho detto: «Dio mio! Aiutami ad amarti con tutto il cuore. Se necessario, con la Tua forza, mettimi sulla via giusta».
E forse la risposta a quella preghiera fu un viaggio che mi ha trasformato in modo profondo e inaspettato…
Nel 2023 sono stato accettato all’Università di Bologna in Italia. Era la mia prima esperienza di vita in un paese occidentale e sono arrivato con grande speranza ed energia. Nei primi giorni, l’immagine imponente della Basilica di San Luca mi è rimasta impressa. La domenica ho partecipato a una messa, e tra i sussurri pacifici della chiesa, ho versato lacrime. Lì, ho parlato con la Vergine Maria e con Gesù Cristo… con tutto il cuore ho chiesto il loro aiuto. In quel momento, ho sentito che il mio unico rifugio era l’abbraccio incondizionato dell’amore divino.
Da quel giorno, ogni volta che vedevo una chiesa – anche solo per pochi istanti – entravo e pregavo. In quei luoghi regnava una pace profonda; qualcosa che cercavo da anni.
Ma la vita non segue sempre le nostre aspettative.
Una notte di settembre 2023, durante una serata tra amici, abbiamo bevuto alcolici, e ho avuto una relazione con una connazionale iraniana-una donna. Anche se il rapporto fu consensuale, non era moralmente né religiosamente corretto. Il giorno dopo, entrambi ci siamo sentiti pieni di vergogna e rimorso. Ma una settimana dopo, lei ha sporto denuncia contro di me, accusandomi di stupro. Forse era il suo modo per liberarsi del peso di quell’esperienza, scaricando tutto su di me.
E così è cominciato il mio precipizio nei giorni più oscuri della mia vita.
Dalla caduta alla rinascita
Quando fu presentata la denuncia, fu come una scossa elettrica. Come se la mia vita fosse stata squarciata da una lama affilata. Non avrei mai immaginato di poter essere accusato di una cosa simile. Stupro… Per me, che ho sempre avuto come principio fondamentale il rispetto per le donne e i bambini, questa accusa colpì la mia anima e la mia coscienza come una frusta.
Pochi giorni dopo fui arrestato dalla polizia. Non conoscevo la lingua, non conoscevo la legge, non conoscevo la loro cultura. Ma sapevo di non essere il mostro descritto in quel rapporto.
Non potevo accettarlo. Com’era possibile? Io, che a diciannove anni sono stato accoltellato mentre difendevo alcune ragazze indifese da una minaccia. Durante le proteste civili in Iran, gridavo insieme al popolo: «Donna, Vita, Libertà». Ho ricevuto proiettili di gomma, mi hanno rotto il naso, sono stato arrestato più volte.
In Iran ho un fascicolo di sicurezza. Se un giorno dovessi tornare e venissi arrestato di nuovo durante una protesta, so che la mia condanna sarebbe una sola: la pena di morte. Con questo passato, con queste convinzioni-potrei mai accettare un’accusa del genere? Mai!
Ma la vita segue una logica propria, a volte crudele e sorda. Dopo la denuncia, mi hanno ritirato i documenti. Non avevo più il permesso di soggiorno. Non avevo casa, né rifugio. Sono diventato un senzatetto, vivendo tra i vicoli di una città straniera, lottando con la paura, la fame e l’abbandono.
Ho vissuto così a lungo, finché non sono stato arrestato e portato in prigione. La mia prima esperienza in carcere è stata più che fisica: ha scosso la mia anima. Era come entrare in un altro mondo, dove il tempo non passava, le voci erano più dure, gli sguardi più pesanti e la solitudine più mortale.
Ma proprio nel cuore di quella oscurità, è apparsa una luce.
Le suore – donne con abiti bianchi e cuori luminosi – sono venute in prigione. Non per giudicare, né per predicare, ma solo per esserci. I loro occhi erano pieni di pace, le loro voci così dolci che, anche senza traduzione, capivo che erano piene d’amore.
Venivano ogni settimana, cantavano, pregavano, a volte prendevano solo la mano di qualcuno. Per me, erano il simbolo dell’amore incondizionato di Dio. Mi diedero una Bibbia in inglese, che lessi ogni giorno con amore e speranza, trovando pace nei suoi insegnamenti.
Non dimenticherò mai l’allenatrice di pallavolo, una donna gentile, che mi mise in contatto con la Chiesa. Come se Dio le avesse detto di prendermi per mano e consegnarmi alla Chiesa e alla sua gente. Non conosceva la mia lingua, ma aveva capito il mio cuore.
Non parlavo italiano, ma capivo bene il linguaggio dell’amore. I loro sguardi, i loro sorrisi, anche solo la loro presenza, erano una luce calda e tranquilla nel mio cuore. Grazie a loro, imparai a pensare di nuovo alla luce, anche in mezzo a quell’inferno.
Dopo sei mesi, il tribunale mi concesse gli arresti domiciliari. Anche se ero lontano dalle mura del carcere, ero prigioniero in una prigione più grande, con catene invisibili. Non potevo uscire, non avevo una carta bancaria. Anche per comprare del cibo semplice, dovevo cercare qualcuno di fiducia che mi aiutasse. Questa mancanza d’identità faceva più male della povertà.
Ma ogni volta, qualcuno compariva per accendere di nuovo la luce. [Grazie all’aiuto del dott. Shain, ndr] un uomo gentile mi permise di vivere e lavorare nel suo ristorante, così potevo mangiare e sopravvivere.
Per nove mesi ho vissuto in una piccola stanza alla periferia della città, in un isolamento profondo. Nessuno veniva a trovarmi. Nessuna famiglia, nessun amico, nessun abbraccio. Solo le suore, come angeli celesti, venivano a trovarmi. Venivano ogni mese, a volte pregavano, a volte restavano in silenzio, ma la loro presenza mi teneva in vita.
In quel periodo, sono tornato alla fede. Non per paura, ma per comprensione. La mia fede non è più solo un rifugio psicologico: è una luce.
Ho chiesto ancora alla Santa Maria di accompagnarmi su questo cammino oscuro. Ho parlato con Cristo e gli ho chiesto di purificarmi dentro.
Durante tutti questi mesi, una frase si ripeteva nel mio cuore: «Segui la luce, anche se intorno a te c’è solo buio».
In questo cammino, ho riscoperto non solo gli altri, ma anche me stesso. Il mio orgoglio è crollato, ma ho imparato l’umiltà. Mi sono distaccato dai beni materiali, ma mi sono avvicinato a Dio.
Un giorno, con tutto il cuore, ho detto: «Se questa esperienza dolorosa era il prezzo per ritrovare Dio, allora io la accetto».
Liberazione nel giorno della Resurrezione
Dopo nove mesi di arresti domiciliari, è arrivato un giorno indimenticabile.
Mentre trascorrevo le giornate sotto una pressione psicologica intensa e in totale isolamento, senza alcun contatto se non quello con le suore, improvvisamente, nel giorno di Pasqua – il giorno sacro in cui i cristiani celebrano la Risurrezione – il campanello di casa suonò.
Due carabinieri, con una gentilezza che mi fece piangere, mi consegnarono la lettera di libertà condizionata. Non potrò mai dimenticare quel momento in cui l’emozione mi tolse il respiro. Proprio nel giorno in cui Cristo risorse dalla tomba, anch’io fui liberato dalla prigione della mia solitudine.
Non riuscivo a crederci. Dopo sei mesi in carcere e nove mesi agli arresti domiciliari, potevo di nuovo guardare il cielo senza ostacoli. L’unica condizione della mia liberazione era la presentazione quotidiana alla stazione di polizia.
In quel momento non pensavo ad altro che alla grazia divina. Gli occhi pieni di lacrime, ma il cuore colmo di luce. Anche se molti, dentro e fuori dal carcere, deridevano la mia fede, io resto saldo nel cammino che ho scelto.
So che la Santa Maria, Madre di Misericordia, è al mio fianco. Prega per questo servo peccatore. La notte, quando appoggio la testa sul cuscino, mi rifugio in Lei come un bambino tra le braccia della madre. E sento una mano gentile accarezzarmi il capo con pace…
Ora aspetto il processo d’appello. Ho speranza, ma anche se non dovesse arrivare una sentenza giusta, non sono più l’uomo di prima. Ora so: «Dio a volte ci chiama non con le ricompense, ma con il dolore».
In tutti questi giorni difficili, se c’era una luce nell’oscurità, parte di essa veniva sicuramente dalla gentilezza di persone che mi sono state accanto senza chiedere nulla in cambio.
Sin dall’inizio, la professoressa Barbara, la mia stimata docente, e la dottoressa Beatrice dell’Università di Bologna si sono interessate alla mia situazione. Anche quando ero in carcere, riuscivano a informarsi sulle mie condizioni tramite uno o due conoscenti comuni. E durante gli arresti domiciliari, mi hanno sempre incoraggiato con messaggi pieni di speranza e conforto.
Accanto a loro, non posso non menzionare il mio avvocato, il Signor Aljundi. Per me non è mai stato solo un avvocato, ma come un fratello maggiore: premuroso, presente, determinato a lottare per la mia libertà. È ancora oggi al mio fianco con tutto il suo impegno. Non dimenticherò mai la sua gentilezza e Umanità.
E oggi…
Oggi, mentre scrivo queste righe, non so cosa accadrà nel mio futuro. Cosa dirà il tribunale d’appello? Ancora prigione? Espulsione?
Non importa.
Ciò che ora conta per me è l’unica cosa che ogni notte fa tremare il mio cuore: i miei genitori.
Sono anziani, malati, e mi aspettano, con la stessa attesa con cui nostra madre ha aspettato mio fratello, quello le cui ossa tornarono a casa dopo dieci anni.
Vorrei tornare, essere al loro fianco, essere un figlio, un sostegno, forse più di prima, e meglio.
Perché racconto questa storia?
Non per cercare assoluzioni Non per sembrare vittima
Questa è solo la testimonianza di un essere umano che, nell’oscurità assoluta, ha trovato un barlume di luce.
Negli anni ho compreso che la vita non è sempre giusta, ma anche nell’ingiustizia possiamo mantenere la nostra dignità.
Possiamo restare fedeli all’amore, anche nella solitudine, e affidarci alla fede, anche sotto accusa.
E alla fine
Nonostante tutte le difficoltà vissute, ho imparato che nulla accade per caso. Ogni lacrima, ogni ferita, ogni esilio e ogni dolore era un pezzo di un puzzle che conteneva un significato più profondo. In tutta l’oscurità – anche quando non c’era alcuna luce visibile – ho scelto di non rinunciare alla speranza. E la fede è stata la torcia che mi ha tenuto caldo nelle notti fredde del carcere e nell’inverno degli arresti domiciliari.
Cristo ci ha insegnato a vivere con amore e fede. Ci ha mostrato che nemmeno una foglia cade senza il permesso di Dio, figuriamoci il cuore spezzato di un essere umano che cerca la verità. Nella casa di Cristo non c’è posto per la disperazione. Egli non respinge nessuno a mani vuote. Come un tempo sfamò centinaia di persone con pochi pezzi di pane, anche oggi può rianimare un’anima con poche lacrime sincere.
Dobbiamo amarci l’un l’altro. Come disse Cristo: «Ama il tuo prossimo».
Sarà l’amore a salvare il mondo; l’amore di Gesù e della Santa Maria, un amore senza confini, che non giudica per religione, fede o passato, ma perdona, accoglie e guarisce.
Non abbiamo il diritto di giudicare nessuno per il suo passato. Solo Dio conosce ciò che c’è nel cuore di ogni essere umano. E così come la madre di Maria consacrò la propria figlia a Dio e con una preghiera sincera cambiò il corso della storia, anche noi possiamo consacrare ogni istante della nostra vita alla luce che viene da Dio.
Forse, se ognuno di noi pregasse almeno una volta con tutto il cuore, potremmo cambiare il mondo.
Torniamo alla casa di Cristo.
Questa non è la casa della disperazione, è la casa della rinascita, la casa della fede e la casa dell’amore.
[1] Il testo è stato fornito alla redazione del CUI da padre Marcello Matté, ma l’autore di questa toccante testimonianza preferisce restare nell’anonimato. (NdR)
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