P. Natalino Costalunga

di anni 76

Della Comunità di GENOVA, p. Natalino era nato A Villaverla, in provincia e diocesi di VI. Nella parrocchiale di S. Domenico di Villaverla era stato battezzato l’8 dicembre 1942 e cresimato l’11 marzo 1951. Entrato nella Scuola Apostolica di Trento per gli sudi medi e ginnasiali, al Noviziato di Albissola aveva voluto assumere il nome di Francesco Saverio già allora facendo intuire il suo orientamento per la missione. A Monza la frequentazione degli studi liceali e i primi anni di vita religiosa con le successive rinnovazioni (1959 – 1961) e la professione perpetua nel 1964, Studi teologici e ministeri a Bologna, Studentato delle Missioni, fino al presbiterato ricevuto a Santa Maria del Suffragio il 28.06.1969. Dunque avrebbe celebrato i cinquanta anno nei prossimi giorni.

Dopo la Maturità classica (1962) e gli studi teologici curricolari, nel 1969 – 1970 aveva  frequentato l’Anno di Pastorale all’Università Lovanium -Kinshasa. Negli anni che seguirono, padre Natalino ebbe modo di spendersi in diversi impegni apostolici e servizi all’Istituto:  a Milano I (1971-1973) come Segretario delle Missioni e membro della Commissione economica, quindi  a Lisbona nella chiesa degli Italiani Nostra Signora di Loreto (1973) per tre mesi di studio della lingua portoghese prima di essere destinato al Mozambico (1973-1984), dove ave va ricoperto diversi incarichi e assunto varie responsabilità pastorali: Consigliere regionale (1977-1980) Muiane, Quelimane (equipe pastorale), Naburi, Gurue –  (equipe traduzioni), Molumbo.

Rientrato in Italia aveva avuto come destinazione la parrocchia di San Lorenzo in quel di Castiglione dei Pepoli dove era stato a lungo parroco e rettore (1984-1996). Consigliere provinciale per un sessennio provinciale (1985-1991), dal 1996 al 1999 era stato trasferito in qualità di parroco a Prato. Nuovamente destinato alla Missione era stato per tre anni in Uruguay (2000-2003) da dove era dovuto rientrare per cure sanitarie, prima a Prato poi a Milano Parrocchia di Cristo Re (dal 2004). Aveva fatto richiesta nel 2016 di essere destinato alla casa del Missionario di Genova per continuare le cure e vivere in un contesto ambientale più consono alle sue necessità.

Egli stesso nel 2014, aggiungendo alla scheda personale una lunga nota in gran parte in terza persona aveva così voluto sintetizzare il suo percorso: «Nell’anno scolastico 1969 1970 ha frequentato all’Università di Kinshasa corsi di etnologia, di adattamento liturgico e di morale al contesto africano, Bibbia, etimo e scrittura lingue africane, potendo grazie ai professori dell’università partecipare alla commissione per la liturgia Zairese e comporre alcune liturgie in lingala, in particolare la settimana santa e ciclo natalizio.

Dal 1970 al 1973 ha ricoperto la carica di Segretario delle Missioni all’interno della Provincia Italiana Settentrionale dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, attività svolta con dedizione a servizio delle nostre missioni e dell’attività missionaria.

Dal 1973 al 1984 ha vissuto l’esperienza missionaria in Mozambico, ove si è dedicato alla pastorale, alla catechesi, partecipando alla creazione dei catechismi e allo sviluppo e alla crescita della chiesa locale. «Con l’equipe di pastorale diocesana, composta di dehoniani e cappuccini, ha redatto il primo testo dal titolo “Comunità autonoma nella condivisione dei ministeri”, il cui scopo era far nascere una CHIESA LOCALE, con la capacità di camminare con le proprie forze, culturali ed economiche: autonoma appunto per non dipendere sempre dall’Europa e far invece partire iniziative con cui mantenersi in proprio; culturali perché l’Africa significa prima di tutto FAMIGLIA ALLARGATA, comunità quindi, dove ognuno ha il suo ruolo, da cui proviene una condivisione di ministeri, e così si elimina il problema della comunità costituita di catechisti pagati dai missionari, ma quel che importa era il passaggio importante che la comunità cristiana e il vangelo fosse assunto come tesoro che ricevevano e diffondevano, ognuno con la sua capacità e la preparazione che i missionari si sono prestati a organizzare, dando la forza coordinatrice della comunità il gruppo degli anziani insieme al missionario.

Siamo nel 2014 quando mi si è data l’opportunità di correggere e completare questa scheda, faccio notare che la chiesa locale è costituita con i suoi vescovi. I missionari, hanno un altro ruolo all’ombra, se si vuole, ma molto importante, quello dell’appoggio nella pastorale (scambio tra le chiese – preti missionari anche tra gli africani) e di essere suggeritori della chiesa locale e dei vescovi, ma attenzione, non per far rispettare la copia della Chiesa dell’Europa, ma per incoraggiarli a cercare il cammino proprio e culturalmente africano, ci deve essere una chiesa culturalmente africana, come c’è una chiesa orientale, una chiesa Latinoamericana.»    

La buona conoscenza della lingua locale gli ha permesso, in un lavoro d’équipe, di tradurre il Nuovo Testamento, il catechismo, e di comporre e tradurre il messalino festivo e un libro di preghiere, e di scrivere  un corso per imparare a parlare la lingua Lomwe. Rientrato dal Mozambico, si è dedicato alla pastorale parrocchiale, a cui aveva sempre aspirato. Dal 1984 al 1996 è stato parroco nella parrocchia di s. Lorenzo a Castiglione dei Pepoli (BO). Dal 1996 al 1999 parroco nella parrocchia dello Spirito Santo a Prato.

Nel 2000 è partito per l’Uruguay dove è rimasto fino al 2003, quando è dovuto rientrare in Italia per motivi di salute. Dal 2003-al 2004 cura il mieloma multiplo nell’ospedale di CAREGGI – Firenze, risiedendo nella casa del medico di base a Prato. Senza risultati. Dal 2004 si trasferisce nella comunità parrocchiale di Cristo Re, dove continua le terapie nell’IEO di Milano, con buoni risultati, tanto da permettergli di lavorare come coadiutore nella stessa parrocchia.

Nel 2015, dopo 11 anni (un congruo tempo, a mio parere) di attività pastorale nella parrocchia di Cristo Re a Milano, chiede al Superiore Provinciale e ottiene di essere trasferito a GENOVA, dove può praticare il ministero pastorale secondo le sue forze, ed essere ben seguito nell’ospedale locale di S. Martino per le terapie oncologiche».

Non aveva voluto scendere per i pasti la vigilia di Pentecoste: lo hanno trovato morto nel primo pomeriggio.

Primo a partecipare al lutto della Provincia ITS, appena ricevuta la notizia del decesso, p. Giacomo Casolino ITM ha scritto«Grazie dell’avviso. Celebreremo Messa di suffragio». Dall’Argentina il p. Lino Frizzarin segnalava di avere ricevuto con rammarico la notizia, mentre da Babonde (RDC) p. Renzo Busana si univa al «cordoglio della famiglia e della Provincia italiana per la morte del caro p. Natalino Costalunga» che, scriveva di volere  «ricordare come appassionato uomo del Vangelo e premuroso nella formazione soprattutto dei catechisti. Più volte ci è stato di pungolo positivo con le sue osservazioni acute e provocanti. Più volte ci è stato di aiuto perché la Bibbia possa trovarsi tra le mani dei cristiani così da essere letta e diventare fermento di vita nuova. Lo voglio ricordare nel suo sorriso amico, sincero, profondo. Il Dio della vita lo accolga nella sua gioia». Dal Mozambico,il giorno dei funerali: «Pe Aimone, abbiamo avuto stamattina la notizia. Puoi immaginare come e quanto ci dispiace. Ci mancherà la sua ricchezza di sacerdote, la sua amicizia arguta. Non lo incontreremo più, né in Italia, né in Africa, dove noi missionarie abbiamo avuto la fortuna di condividere con lui e i missionari i progetti di nuova evangelizzazione, soprattutto per dare forza ad una Chiesa ministeriale.

Siamo uniti nella preghiera perché p. Natalino possa godere del promesso volto di  Dio, della beatitudine che meritano i servi fedeli. Siamo contente di averlo conosciuto e di aver camminato con lui e con il suo gruppo missionario in favore del popolo mozambicano. Da Maputo un cordiale saluto, in comunione. Irene Ratti, Leonia Barbato».                                                                                                      ***

Omelia nelle Esequie

Genova  – 10 giugno 2019. ore 11.45

«Il fuoco dello Spirito – che illumina, riscalda e purifica – è ancora vivo in noi per la festa della Pentecoste appena celebrata ieri, e ci troviamo qui, nella fede del Risorto, per salutare il nostro fratello Natalino, che sabato ci ha lasciato per tornare alla casa del Padre. Il Paraclito/Consolatore ci sostiene nel vivere la sofferenza di un distacco, e ci dà anche la forza di percepire, tra le pieghe del dolore, la gioia di una conferma: Dio è la nostra vita, la nostra eredità! Da Lui veniamo, a Lui apparteniamo, a Lui torniamo.

Se è vero che ognuno di noi è un riflesso della bellezza e bontà di Dio, oggi noi celebriamo nella gratitudine la luce unica e indefettibile del Padre che si è espressa nel volto, nel cuore e nella vita intera di p. Natalino, con tutti i suoi pregi e tutti i limiti, con tutto quanto di positivo e anche di critico egli ha saputo esprimere nella sua vita di religioso e sacerdote.

Non so se succede lo stesso anche a voi, ma quando ci troviamo a vivere momenti come questo, in cui accompagniamo un fratello a Dio condividendo con lui l’ultima eucaristia terrena, personalmente provo il desiderio di ammirare tutto il bello che si è potuto esprimere in lui. Penso, in questo modo, di sintonizzarmi con lo sguardo con cui lo guarda Dio, che conosce bene il suo e il nostro cuore, più di quanto possiamo conoscerlo noi. Dio sa vedere e riconoscere il desiderio di bene che abita in ciascuno di noi, anche quando noi sbagliamo nel modo di realizzarlo. Il Signore non smette mai di stimolarci al superamento della logica dell’ «uomo vecchio», che è presente in tutti noi, e spesso vorrebbe forzare le cose, le persone e le situazioni per giungere a fare il bene nel modo in cui noi lo sentiamo e lo pensiamo realizzabile.

Penso che anche p. Natalino avesse capito questa cosa, quando scriveva: «il mio unico dono è la fatica spesa per servire il Regno di Dio con amabilità, che avevo in animo di dare ovunque, e che non sempre sono riuscito a manifestare». Sono parole del suo breve testamento spirituale, il cui primo pensiero è di ringraziamento per tutto ciò che ha ricevuto: famiglia, congrega-zione dehoniana, popolo di Dio da servire e con il quale condividere la vita.

È sempre difficile racchiudere in poche parole il mistero di una persona. In certi casi è ancora più difficile, quando le qualità personali, i tratti del carattere e le circostanze in cui una persona si è trovata a vivere sono molteplici e complessi. P. Natalino era un uomo ricco di iniziativa, deciso e pronto all’azione; consapevole dei doni ricevuti e ansioso di renderli disponibili a tutti i fratelli, in ogni parte del mondo in cui si fosse trovato. Una risolutezza, la sua, che poteva risultare qualcosa di simile all’irruenza di un torrente difficile da arginare. Se da una parte questo può essere un problema, dall’altra è anche grazia di Dio che gli ha permesso di fare tanto in Mozambico – traduzione del Nuovo Testamento e del Messale in lingua Lomwé, e di una grammatica Lomwé per aiutare chi volesse apprendere quella lingua – e di affrontare le difficoltà ambientali e comunitarie sia della missione come delle parrocchie in cui ha reso il suo servizio qui in Italia, con uno spirito di grande fiducia nell’uomo e di parresia/franchezza.

«Un’ombra di tristezza mi accompagna sempre – annota ancora con viva consapevolezza nel suo testamento – perché nelle zone di rischio in cui mi sono esposto, ho visto e provato dolori, martirio, miseria… anch’io mi sono sporcato: invoco pietà per me, rigenerazione per il mondo, pieno di fiducia di poter collaborare ancora di più per far rinascere il mondo, dopo questo passaggio, nell’abbraccio di Dio ».

Ora p. Natalino è con il nostro Dio-Trinità, mistero di comunione che, accogliendolo, farà luce e verità nel suo cuore, introducendolo nella verità tutta intera, quella che anche lui, come ognuno di noi, ha cercato per tutta la sua vita. Abbiamo sentito nel brano evangelico che il Signore Gesù, nostro Maestro, è la nostra via, verità e vita. Lui ci ha insegnato, nel mistero della sua Pasqua, che il potere non è imporre la propria volontà o il proprio punto di vista, né condizionare dall’esterno la vita di nessuno. Dio non ci costringe a essere buoni o a volergli bene. Semmai, è vero proprio il contrario. Gesù ci ha rivelato in tutta la sua vita/morte/risurrezione che il vero “potere” è “volere” la Vita, il Bene, la Verità, la Giustizia con tutto se stessi, mettendosi al servizio di tutto ciò nel fratello che hai davanti, sempre, come ha fatto Lui.

L’onnipotenza di Dio si rivela così: non nel condizionare la vita dei suoi figli, ma alimentando dal di dentro – con il suo Spirito – i desideri migliori che tutti noi, suoi figli, portiamo nel cuore. Anche noi possiamo vivere l’ebbrezza di questa potenza divina quando facciamo morire le nostre paure e il nostro egoismo e ci apriamo alla rivoluzionaria libertà dei figli di Dio. È per questo che p. Natalino non si è mai fermato un momento: questo cercava, anche in negli ultimi tempi della sua avventura terrena. Ora, di certo, possiamo dire che questa libertà di amare come ama Dio l’ha incontrata, la contempla e la gode per sempre, poiché questa è l’eredità di chi vive cercando Dio e la sua volontà».

P. Enzo Brena, Superiore Provinciale


Arrivederci, Natalino

«Parlo a nome della comunità dehoniana di Genova, p. Dario, p. Agostino e p. Giuseppe, nella quale ha vissuto p. Natalino fino a sabato scorso[1].

Ci sono alcune idee che abbiamo lasciato in sospeso, caro Natalino, e che solo oggi abbiamo la possibilità di esprimerti.

Sei stato un amico difficile, (io te lo ripetevo spesso). Ma non perché tu avessi un caratteraccio NO. Difficile perché nel viverti accanto, condividere le scelte o realizzare progetti era sempre una impresa che esigeva ricerca, discussione e tempo. E questo per noi è stato positivo perché ci ha impedito di non essere mai banali o pressapochisti.

Fare comunità con te non è mai stato un: “Vogliamoci bene…lasciamolo fare… faccia come vuole… ha la sua età”. No. È stato una voglia di cercare insieme, guardare tutti e cinque nella stessa direzione, senza strategie o politiche comunitarie di compromessi, di “spinte o contro spinte”, come in architettura. Ci resta di te la figura di un uomo molto determinato e coraggioso nell’accogliere e gestire una situazione di salute pesante, lunga e logorante. Ci ha sempre edificati. (quanto tu la temessi, non ce lo hai mai fatto capire).

A noi, a me soprattutto, piaceva quando parlavi della tua famiglia: di tuo padre, tua madre, fratelli sorelle. Nipoti. Ne parlavi di tutti con stima, ammirazione e simpatia. “Il vecchio granaio non tradisce mai”, come diceva un vecchio proverbio africano, ricordi? La famiglia come per noi tutti è stata un grande punto di riferimento, per te.

Così come anche dalla tua famiglia (e lo credo anche per tanti di noi) avevi imparato “la comune legge del lavoro”.  Nat: “Sei stato sempre un gran lavoratore”: cosa che oggi non guasta ricordarlo anche a tanti della nostra classe clericale. Dio ti sia benevolo e ti accolga tra tutti coloro che ce l’hanno messa tutta per vivere da onesti sulla terra. Riposa finalmente in pace Natalino. E arrivederci!»

p. Ambrogio


[1] Testo letto al termine delle esequie da p. Ambrogio Comotti.

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