La Riforma luterana e la musica

La Riforma luterana e la musica

SETTIMANA DI FORMAZIONE DEHONIANA (ALBINO, 28 AGOSTO – 1 SETTEMBRE 2017)

La Riforma luterana e la musica
Breve storia di un legame lungo cinque secoli

La Riforma luterana e la musica

Cristiano Bettega

Lutero e la musica

Il grande valore che Lutero attribuisce alla musica si intuisce ad un primo semplice sguardo in una qualsiasi chiesa luterana: complice anche la nota sobrietà di decorazioni o addirittura la totale assenza di immagini, gli elementi architettonici che più colpiscono sono il pulpito e l’organo. Quest’ultimo, in realtà, è tipico di tutte le chiese dell’area germanica, anche cattoliche: e non è da escludere che ciò sia dovuto a una sorta di influenza della prassi luterana su quella cattolica.

Pulpito e organo svolgono un unico compito: in modo complementare l’uno all’altro, essi proclamano la Parola di Dio alla comunità dei credenti. Si tratta, in fondo, di due diversi modi d’espressione, ma il cui oggetto è unico: il Verbo divino, che, secondo la teologia di Lutero, raccoglie e forma la chiesa e nel quale risiede l’unica autorità da rispettare. Nella liturgia luterana, l’intreccio di Parola proclamata e predicata e di Parola cantata vuole rendere ragione al passaggio di Paolo ai Romani (10,17), secondo il quale la fede si riceve attraverso l’ascolto. Il credere è fortemente provocato e stimolato dall’ascoltare, e soltanto l’ascolto è in grado di offrire l’accesso a Dio; esso infatti rimane nascosto alla vista, poiché ciò che si vede potrebbe diventare un idolo, mentre ciò che si ascolta scende più naturalmente nel cuore. Il Vangelo infatti, secondo l’esperienza personale di Lutero e di conseguenza secondo il suo pensiero, richiede al contempo l’intelligenza e il cuore: la Parola deve essere intelligibile e deve risuonare nel cuore: da qui si giustifica l’uso del tedesco e il grande ruolo svolto dalla predicazione, ma da qui si capisce anche la grande importanza data alla musica e al canto dell’assemblea, come elementi in grado di far interiorizzare la Parola e di consolidare la fede.

Il valore della musica quindi è pari a quello della teologia: diffonde la Parola di Dio, crea appartenenza, fa catechesi, applica il principio del sacerdozio universale dei fedeli, favorendo la partecipazione attiva al culto. In questo modo si sono creati i presupposti sociali, teologici e artistici per la formazione di alcuni dei massimi capolavori della storia della musica.

Nella teologia luterana del sacerdozio universale, anche in famiglia si può pregare, e lo si fa soprattutto con i canti: da qui la pratica dello Hausandacht. Numerose testimonianze confermano l’utilizzo del canto come forma di consolazione, di incoraggiamento, di istruzione, e molti di questi canti diventano forme di aggregazione comunitaria; come a dire, chi canta quel determinato testo, è per forza di cose luterano.

Cfr. per es.: Ein feste Burg ist unser Gott (del 1529, n. 29 di Hartlapp, op. cit.).

Luther und die Musik, CD 3, n. 1

Ein feste Burg ist unser Gott, ein gute Wehr und Waffen.
Er hilft uns frei aus aller Not, die uns jetzt hat betroffen.
Der alt böse Feind mit Ernst ers jetzt meint,
Groß Macht und viel List sein grausam Rüstung ist,
Auf Erd ist nicht seinsgleichen

Mit unsrer Macht ist nichrts getan, wir sind gar bald verloren;
Er streit für uns der rechte Mann, den Gott hat selbst erkoren.
Fragst du, wer der ist? Er heißt Jesu Christ,
der Herr Zebaoth, und ist kein ander Gott,
das Feld muß er behalten.

Und wenn die Welt voll Teufel wär, und wollt uns gar verschlingen,
so fürchten wir uns nicht so sehr, es soll uns doch gelingen.
Der Fürst dieser Welt, wie saur er sich stellt,
tut er uns doch nicht, das macht, er ist gericht,
ein Wörtlein kann ihn fällen.

Das Wort sie sollen lassen stahn, und kein’ Dank dazu haben,
Er ist bei uns wohl auf dem Plan, mit seinem Geist und Gaben.
Nehmen sie den Leib, Gut, Ehr, Kind und Weib,
laß fahren dahin, sie habens kein Gewinn,
das Reich muß uns doch bleiben.

Traduzione indicativa:

Una salda rocca è il nostro Dio, buona difesa e arma.
Egli ci libera da ogni pena, che ora ci è capitata.
Egli prende sul serio il cattivo nemico, la sua terribile armatura è una gran forza e astuzia,
sulla terra nessuno gli è uguale.

Con la nostra forza è tutto inutile, noi siamo subito perduti.
Lo combatte per noi l’uomo giusto, che Dio stesso ha eletto.
Tu chiedi chi è? Si chiama Gesù Cristo, Signore dell’universo e unico Dio,
egli deve conservare il campo.

E se il mondo fosse pieno del diavolo e volesse divorarci,
noi saremmo in grado di non temere così seriamente.
Il principe di questo mondo, per quanto acidamente si presenti,
non può nulla contro di noi, è già giudicato,
una piccola parola lo può abbattere.

Essi [i fedeli] lasceranno resistere la Parola e non servirà ringraziare,
perché Egli [Dio] è con noi in questo progetto, con il suo Spirito e i suoi doni.
Essi prendono il proprio corpo, i beni, l’eredità, i figli, la moglie, e lo seguiranno,
non avranno nessuna ricompensa, il Regno resterà a noi.

Non è così però per tutti i riformatori. Calvino indica i soli testi biblici come degni di utilizzo nel culto. La polifonia non era ben vista, in quanto fonte di distrazione per gli ascoltatori: quindi il canto doveva essere monodico e senza accompagnamento. In Francia e Svizzera si registrarono, a questo proposito, anche dei Beeldenstorm, distruzione iconoclasta di organi e strumenti, oltre che paramenti e altre opere d’arte. Zwingli addirittura non ammetteva la musica in chiesa, a motivo del fatto che di tutto ciò la Bibbia non parla. La reazione di Lutero è però in questi termini: «Non sono dell’opinione che tutte le arti debbano essere abbattute dal Vangelo e sparire, come vorrebbero certi zelanti; al contrario, vedrei tutte le arti, e particolarmente la musica, al servizio di Colui che le creò e a noi le diede». Con questo Lutero sosteneva anche la polifonia, che aveva il pregio di facilitare le emozioni del fedele.

Il corale

La forma più diffusa e rappresentativa della teologia luterana sulla musica è il “corale”. Melodie semplici da cantare, con andamento sillabico, a differenza dei melismi tipici del gregoriano e della polifonia. Il corale ha lo scopo di facilitare la comprensione del testo, rigorosamente in tedesco, in rima e a strofe, perché anche la memorizzazione sia più agevole.

A differenza di altri riformatori, Lutero non disdegnò il repertorio “cattolico”, nemmeno il latino almeno in via di principio; ciò che gli stava a cuore tuttavia era che i fedeli potessero partecipare al culto. La liturgia latina infatti aveva progressivamente allontanato i fedeli da una partecipazione piena, cosicché i fedeli “assistevano” alla liturgia e spesso senza capirla affatto. Per sé anche la pur splendida musica polifonica tardo medievale e rinascimentale, finemente elaborata, rendeva impossibile la comprensione del testo cantato. Lutero reagisce a tutto ciò, promuovendo la musica a parte fondamentale del culto e a strumento di partecipazione dei fedeli. Da qui la trasformazione di molti canti e melodie (anche dal gregoriano) e la rispettiva semplificazione, per dare al popolo la possibilità di prendere parte attivamente alla liturgia. È lo stesso Lutero a mettersi all’opera: ci è pervenuta una quarantina di testi suoi, molti dei quali musicati da lui stesso. Il Riformatore però elabora canti anche dalla tradizione popolare, per esempio dal repertorio dei Minnesänger, o addirittura da canti molto profani: «Al diavolo non dovrebbe essere concesso di tenere per sé tutte le melodie più belle» era solito dire. Per Lutero era chiaro e indiscutibile lo scopo principale di questa operazione: l’evangelizzazione dei fedeli. A diversi anni dopo la morte del Riformatore, nel 1586, risale una sorta di teorizzazione di questa volontà di semplificazione del canto sacro ad uso dei fedeli: la leggiamo in uno scritto del compositore Lucas Osiander, il quale afferma: «So bene che i compositori mettono normalmente nei corali la melodia al tenore. Se si fa questo, però, le altre voci non riconoscono il corale. Allora l’uomo comune non capisce più di quale salmo si tratti e non può cantare. Per questo ho portato il corale al discanto [il soprano], in modo tale che tutti possono facilmente riconoscerlo e cantarlo». Prassi che da qui ebbe una diffusione pressoché totale, anche nel culto cattolico sia nelle sue espressioni più colte che in quelle più popolari.

Cfr. esempio: Victimae paschali laudes – Christ lag in Todesbanden (del 1524, n. 17 di Hartlapp, op. cit.):

CD 35 Bach, Opera omnia, n. 7

  1. Christ lag in Todesbanden für unsre Sünd gegeben,
    Er ist wieder erstanden und hat uns bracht das Leben;
    Des wir sollen fröhlich sein, Gott loben und ihm dankbar sein
    und singen halleluja, Halleluja!
  2. Den Tod niemand zwingen kunntb Bei allen Menschenkindern.
    Das macht’ alles unsre Sünd, kein Unschuld war zu finden.
    Davon kam der Tod so bald und nahm über uns Gewalt,
    hielt uns in seinem Reich gefangen. Halleluja!
  3. Jesus Christus, Gottes Sohn, an unser Statt ist kommen
    und hat die Sünde weggetan, damit dem Tod genommen.
    All sein Recht und sein Gewalt, da bleibet nichts denn Tods Gestalt,
    den Stach’l hat er verloren. Halleluja!
  4. Es war ein wunderlicher Krieg, da Tod und Leben rungen,
    das Leben behielt den Sieg, es hat den Tod verschlungen.
    Die Schrift hat verkündigt das, wie ein Tod den andern fraß,
    ein Spott aus dem Tod ist worden.
    Halleluja!
  5. Hier ist das rechte Osterlamm, davon Gott hat geboten,
    das ist hoch an des Kreuzes Stamm in heißer Lieb gebraten,
    das Blut zeichnet unsre Tür, das hält der Glaub dem Tode für,
    der Würger kann uns nicht mehr schaden.
    Halleluja!
  6. So feiern wir das hohe Fest mMit Herzensfreud und Wonne,
    das uns der Herre scheinen läßt, er ist selber die Sonne,
    der durch seiner Gnade Glanz erleuchtet unsre Herzen ganz,
    der Sünden Nacht ist verschwunden. Halleluja!
  7. Wir essen und leben wohl in rechten Osterfladen,
    der alte Sauerteig nicht soll sein bei dem Wort Gnaden,
    Christus will die Koste sein
    und speisen die Seel allein,
    der Glaub will keins andern leben. Halleluja!

Traduzione indicativa:

  1. Cristo è rimasto nelle bende della morte, consegnato per il nostro peccato,
    egli è nuovamente risorto e ci ha portato la vita.
    Di questo dobbiamo essere felici, lodare Dio ed essere riconoscenti
    e cantare alleluia, alleluia!
  2. Nessuno tra i figli dell’uomo ha potuto vincere la morte,
    ciò è dovuto a tutto il nostro peccato, non si è mai trovato un innocente.
    Per questo è entrata la morte e ha preso potere su di noi,
    e ci ha tenuto prigionieri nel suo regno.
  3. Gesù Cristo, Figlio di Dio, è venuto al posto nostro
    e ha tolto il peccato, prendendo alla morte
    il suo diritto e la sua violenza, così non è rimasto niente dell’immagine della morte,
    essa ha perso il suo pungiglione.
  4. È stata una battaglia meravigliosa, morte e vita si sono affrontate,
    la vita ha conseguito la vittoria, ha divorato la morte.
    La Scrittura lo ha annunciato, come la morte si è nutrita della morte,
    e la morte stessa è divenuta uno scherno.
  5. Ecco il vero agnello pasquale, che Dio ha offerto,
    egli è spezzato sull’albero della croce, nel suo corpo vivo.
    Il sangue ci indica la porta, così la fede supera la morte,
    lo strangolatore non può farci nulla.
  6. Così celebriamo, con delizia e gioia del cuore, questa gran festa
    che il Signore ci ha fatto apparire: egli stesso è il sole,
    che attraverso il suo splendore illumina tutto il nostro cuore,
    la notte del peccato è tramontata.
  7. Noi mangiamo e viviamo al vero banchetto di Pasqua,
    il lievito vecchio non può nulla contro la parola del Forte.
    Cristo sarà il cibo, solo lui nutrirà l’anima,
    la fede non vivrà per nessun altro.

Dal repertorio popolare: Mein G’müth ist mir verwirret, canzone d’amore del 1601, da cui proviene O Haupt voll Blut und Wunden!

Mein G’müt ist mir verwirret (H. L. Hassler o meglio “galante Welt”)

Mein Gmüth ist mir verwirret, das macht ein Jungfrau zart,
bin ganz und gar verirret, mein Herz das kränckt sich hart,
hab tag und nacht kein Ruh, führ allzeit grosse klag,
thu stets seufftzen und weinen, in trauren schier verzag.

Ach daß sie mich thet fragen, was doch die uersach sei,
warum ich führ solch klagen, ich wolt irs sagen frei,
daß sie allein die ist, die mich so sehr verwundt,
köndt ich ir Hertz erweichen, würd ich bald wider g’sund.

Reichlich ist sie gezieret, mit schön thugend ohn Ziel,
höflich wie sie gebüret, ihrs gleichen ist nicht viel,
für andern Jungfraun zart führt sie allzeit den Preiß,
wann ichs anschau, vermeine, ich sei im Paradeiß.

Ich kann nicht ganz erzehlen, Ihr schon und tugend viel,
Fur all’n wollt ich’s erwehlen, wär es nur auch ihr will,
Dass sie ihr Herz und Lieb geg’n mir wendet allzeit,
So wurd mein Schmerz und klagen, verkehrt in grosse Freud.

Aber ich muß auffgeben, und allzeit traurig sein,
solts mir gleich kosten Leben, das ist mein gröste Pein,
dann ich bin ir zu schlecht, darumb sie mein nicht acht,
Gott wolts für leid bewahren, durch sein Göttliche macht.

Traduzione indicativa (solo delle prime due strofe…):

Il mio animo è turbato, a causa di una delicata ragazza,
sono totalmente confuso, il mio cuore è fortemente ferito,
non ho pace né giorno né notte, grande lamento per tutto il tempo,
spesso gemo e piango, proprio abbattuto dalla tristezza.

Oh, che lei mi chieda qual è la causa,
perché io faccia tali lamenti, e io le voglio dire apertamente
che lei soltanto è ciò che mi ferisce a tal modo:
se potessi ammorbidire il suo cuore, presto sarei risanato.

Dalla Matthäus-Passion BWV 244, J.S. Bach: CD 3, n. 54:

O Haupt voll Blut und Wunden, voll Schmerz und voller Hohn!
O Haupt zu Spott gebunden, mit einer Dornerkron!
O Haupt sonst schön gezieret mit höchster Ehr’ und Zier,
jetzt aber hoch schimpfieret, gegrüßet seist du mir!

Du edles Angesichte, dafür sonst schrickt und scheut
das große Weltgewichte, wie bist du so bespeit!
Wie bist du so erbleichtet, wer hat dein Augenlicht,
dem sonst kein Licht nicht gleichet,
so schändlich zugericht’t?

Traduzione indicativa:

O capo pieno di sangue e ferite, pieno di strazio e derisione.
O capo per scherno incoronato di una corona di spine.
O capo, altrimenti così adorno di sommo onore e gloria,
ed ora tanto oltraggiato, a te rivolgo il mio saluto!

O nobile volto, davanti al quale provano timore
i grandi del mondo intero, come sei riempito di sputi,
come sei impallidito! Chi ha oscurato così orribilmente
la luce del tuo volto, che nessuna luce può uguagliare?

Il primo a mettersi a servizio della Riforma anche attraverso la musica fu Lutero stesso. Cantava volentieri, suonava dignitosamente il liuto e il flauto e aveva elaborato un esercitato senso critico, al punto da saper distinguere la buona musica da quella più dilettantistica. Diversi i musicisti che, in vari modi, rivestono un ruolo importante nella vita di Lutero: egli conosceva e apprezzava le composizioni di Heinrich Isaac (ca. 1450-1517), compositore fiammingo che aveva lavorato anche a Wittenberg, poi a Ferrara, dove entrò in contatto con Josquin Des Prez, e a Firenze, dove ebbe come studente il futuro Leone X, e dello stesso Josquin Des Prez (ca. 1450-1521), compositore franco-fiammingo che lavorò anche a Milano, a Ferrara e alla corte pontifica a Roma. Inoltre Lutero manteneva una corrispondenza epistolare con Ludwig Senfl (1486-1543), compositore di origini svizzere, attivo ad Augsburg, Vienna e Monaco, che fu presente alla Dieta di Worms (1521) e che simpatizzò per Lutero, pur non aderendo mai alla Riforma.

Progressivamente la forma del corale divenne la “carta d’identità” della fede protestante contro il cattolicesimo, anche come baluardo simbolico della libertà di coscienza, conquistata con il sangue. Emerge sempre di più l’organo, come strumento privilegiato per dialogare con il canto del popolo. Ciò contribuì al formidabile sviluppo di una scuola organistica senza pari: Sweelink, Scheidt, Scheidemann, Buxtehude, Pachelbel e poi, naturalmente, Johann Sebastian Bach.

I corali poi continuarono ad essere la forma principale della musica di stampo luterano anche nei secoli successivi. Felix Mendelssohn fu promotore della cosiddetta Bach Renaissance, che ebbe lo scopo di riscoprire Bach e di recuperarne la musica, che per circa un secolo era stata accantonata. Tra i grandi della musica, da menzionare ancora Brahms e Max Reger, benché quest’ultimo di fede cattolica.

Il corale, quindi, divenne una sorta di alfabeto musicale, una forma adatta ad esprimere indirettamente e senza l’uso di parole una atmosfera, un’area concettuale e un ambito di significato immediatamente riconoscibile e riconducibile alla sfera del sacro. Il ruolo giocato dal corale è simile a quello dei simboli: esso rinvia a qualcos’altro, diventa in qualche modo meta-fisico, provoca l’ascoltatore ad andare al di là di ciò che sente materialmente, esprimendo così un tessuto di fede o quantomeno di attesa religiosa.

Tutto ciò è teologia: è lo stesso Lutero che ci aiuta in questa affermazione, quando dice: «Ho sempre amato la musica […]. La musica è un dono sublime che Dio ci ha dato, ed è simile alla teologia. Non darei per nessun tesoro quel poco che so di musica» (in una lettera a L. Senfl del 1530). Punto centrale della teoria luterana sulla musica è la sua natura divina. Al contrario della posizione moralista cattolica, condivisa peraltro da Calvino e altri riformatori, secondo cui sono la funzione religiosa e i testi di carattere spirituale a nobilitare e a rendere tollerabile la musica, per Lutero la musica possiede un valore religioso in sé. La musica non ha bisogno di essere redenta: essa, unita alla parola umana, è il mezzo naturale per lodare Dio e per diffondere la sua Parola divina; così la musica diventa esperienza del divino. Lutero insiste sulla funzione edificante, educativa e catartica della musica, che si realizza nella pratica più che nell’ascolto. È così che Lutero sostiene fortemente la funzione pedagogica della musica, promuovendo la preparazione musicale di base e mettendo le basi di quella cultura musicale diffusa, che ancora oggi è caratteristica dei Paesi in cui la Riforma si è maggiormente diffusa. Al di là di tutto, per il Riformatore resta fondamentale che il contatto tra il fedele e il suo Dio sia diretto, non mediato da una ritualità monopolizzata dal “celebrante” e dai suoi collaboratori, tra cui i musicisti professionisti.

Il musicista luterano per eccellenza: Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Molto ci sarebbe da dire su Bach; per forza di cose ci limitiamo ad alcuni accenni, mettendo in evidenza soprattutto il suo legame con la confessione luterana.

Afferma Gianni Long che «gli elementi teologici più rilevanti che emergono dalle opere di Bach sono tre: l’idea trinitaria, la sottolineatura della croce di Cristo, la giustificazione per grazia» (op. cit., p. 295). Che corrispondono al nucleo del pensiero teologico di Lutero, come sappiamo. Tutto ciò viene espresso da Bach secondo il linguaggio musicale tipico del suo tempo. A intestazione e a chiusura dei suoi lavori sacri, Bach usa spesso scrivere la formula Soli Deo gloria, proprio per affermare la sua salda fede in Dio Trinità; la centralità della croce viene messa in luce da figure musicali quali il chiasmo, ovvero la costruzione simmetrica delle opere, al centro della quale sta proprio l’affermazione del Crocifisso; la giustificazione per grazia infine viene sottolineata dalla frequente ricorrenza di questo tema nei corali e in molte altre opere del grande musicista. Il riferimento alla Scrittura è costante nelle composizioni di Bach, i testi da lui musicati sono direttamente o indirettamente di derivazione biblica, dichiarando in questo modo di far sua la preoccupazione di Lutero di rimettere la Scrittura al centro della vita cristiana.

Questo elemento, e moltissimi altri ancora che qui non prendiamo in considerazione, rende forse ancora più sorprendente il fatto che Bach e la sua musica siano stati accantonati subito dopo la sua morte, nel 1750, e il fatto che a riprenderla in mano, nella prima metà del XIX secolo (la riscoperta della Matthäus-Passion risale al 1829), non siano stati né uomini di chiesa né studiosi del fondamento teologico delle sue opere, bensì musicisti, esteti, appassionati e storici della musica. E tutt’oggi va detto che la musica sacra di Bach viene seguita più in sede di concerto che di culto religioso. Lui che ha speso gli ultimi 27 anni della su vita come compositore della Thomaskirche di Lipsia, collezionando un numero impressionante di opere sacre, e la cui tomba, dopo la sepoltura, non fu nemmeno più riconoscibile: al punto che i resti che dal 1950 riposano nella navata della Thomaskirche sono solo probabilmente i suoi, ma non sicuramente.

Ma tornando a noi, nel guardare alla vita del grande musicista, gli storici sottolineano il fatto che la grande importanza dei temi di fede nella musica di Bach non risulta tanto dalla sua posizione professionale di musicista al servizio delle chiese, quanto piuttosto dai suoi sentimenti più intimi. La sua musica rappresenta conflitti umani, battaglie, stimoli, affetti, sentimenti ed esperienze nel contesto di storie sacre e di riflessione teologica: e tale linguaggio – va affermato chiaramente – è identico in ogni religione. Il “Bach luterano”, quindi, è allo stesso tempo sacro e profano, dal momento che la sua fede non è circoscritta nelle “opere di chiesa”, ma abbraccia tutta la sua esistenza. «La “devozione” di Bach nella sua musica è sempre orientata alla vita, si occupa dell’uomo, di luce e tenebre, morte e vita, peccato e salvezza, grida di gioia e di dolore, consolazione e amore, riposo e serenità, tensione, eccitazione, passione, dolore, paura, nostalgia, silenzio e armonia, violenza e redenzione» (F. Rueb, op. cit., p. 164).

L’epoca storica di Bach è segnata dalla contrapposizione tra l’ortodossia luterana e il pietismo. Mentre la prima si manteneva spiccatamente cristocentrica, rifacendosi alla purezza del pensiero di Lutero, alla sobrietà del solus Christus, sola fide, sola gratia, sola Scriptura, soli Deo gloria, il secondo faceva appello invece a una religiosità più individualista, fatta di spiritualità e di estasi, ma anche di una sorta di puritanesimo che voleva mettere da parte tutto ciò che potesse avere a che fare con qualsiasi forma di piacere: tra questo, anche la musica. «Il pietismo rompeva in effetti l’equilibrio dell’ortodossia luterana insistendo sull’affettività e la sensibilità al punto di attenuare poco a poco l’oggettività della parola di Dio che viene “dall’esterno” dell’uomo “a toccare” il suo orecchio» (Ch. Theobald-Ph. Charru, op. cit., p. 35). Inoltre l’inizio del XVIII secolo è segnato dai primi passi dell’Illuminismo, il quale, ponendo l’accento sulla luce dell’intelletto umano, metteva in disparte tutto ciò che aveva a che vedere con la religiosità, con la conseguenza che anche chi continuava a professare la propria fede tendeva comunque a minimizzarne l’aspetto affettivo e il suo radicamento nel cuore.

A tutte queste discussioni Bach non sembra essersi interessato: egli continuò a professare la sua forma di cristianesimo e di etica, di stampo fortemente luterano. Ma ciò nonostante, il pietismo lo ha accompagnato lungo tutta la sua esistenza e fa continuamente capolino nella sua musica. Afflati lirici, dolcissime dichiarazioni d’amore a Gesù, teneri duetti dell’anima umana con lo Spirito Santo sono assolutamente ricorrenti nelle opere di Bach. Ciò vale a testimonianza del fatto che anche i luterani più osservanti non disdegnavano una spiritualità più vicina al cuore; ma anche del fatto che nel suo servizio alla chiesa della Riforma Bach ha saputo mantenere ferma la sua indipendenza spirituale. Forse non gli era necessario tendere ad un’ispirazione divina: quella musicale gli era più che sufficiente.

Cfr. es.: dalla Matthäus-Passion, BWV 244 – CD 1, nn. 19 e 20: Recitativo e aria (soprano): Wiewohl mein Herz in Tränen schwimmt – Ich will dir mein Herze schenken. I brani si collocano dopo il racconto dell’ultima cena, prima dello spostamento nel Getsemani.

Rezitativ (Sopran):

Wiewohl mein Herz in Tränen schwimmt,
daß Jesus von mir Abschied nimmt,
so macht mich doch sein Testament erfreut:
sein Fleisch und Blut, o Kostbarkeit!,
vermacht er mir in meine Hände,
wie er es auf der Welt mit denen Seinen
nicht böse können meinen,
so liebt er sie bis an das Ende.

Arie (Sopran):

Ich will dir mein Herze schenken,
senke dich, mein Heil, hinein!
Ich will mich in dir versenken;
ist dir gleich die Welt zu klein,
Ei so sollst du mir allein
mehr als Welt und Himmel sein.

Traduzione indicativa:

Recitativo:

Sebbene il mio cuore sia inondato di lacrime, poiché Gesù prende congedo da me,
mi rende felice la sua alleanza:
la sua carne ed il sangue, doni preziosi!, egli ha lasciato nelle mie mani,
e come sulla terra amò i suoi, senza mai adirarsi, così li ama fino alla fine.

Aria:

Voglio donare a te il mio cuore,
discendi in esso, mio Salvatore!
Voglio immergermi in te;
e se per te il mondo è troppo piccolo,
ah, tu sarai pur soltanto per me
più che la terra e il cielo.

Moltissime altre opere di Bach, sia sacre che profane, dovrebbero essere prese in considerazione per descrivere la sua grandezza; almeno un accenno alla monumentale Messa in si minore mi pare opportuno. Mai eseguita per intero durante la vita di Bach, essa sembra scritta di getto, ma in realtà è composta di pezzi che videro la luce in un periodo di circa vent’anni e per diverse occasioni, e che almeno in parte sono rielaborazioni di opere precedenti dello stesso Bach. Desta scalpore il fatto che un musicista fortemente impregnato di luteranesimo come Bach abbia assemblato, verso la fine della sua vita, una colossale Messa cattolica: per questo motivo qualcuno lo ha definito addirittura ecumenico ante litteram (cfr. G. Long, op. cit., p. 303). In realtà sembra più appropriata un’altra osservazione. Con la Messa in si minore, Bach ha probabilmente creato qualcosa di nuovo: ha contribuito a dare uno sguardo d’insieme alla cristianità, indipendentemente dalla chiesa di appartenenza del singolo fedele. Come una cattedrale gotica, nelle sue forme architettoniche più pure, può appartenere tanto a un cattolico quanto a un protestante, così la Messa in si minore (e per la verità moltissime altre opere musicali e non soltanto di Bach) esprime la religiosità che si nasconde nel cuore di ogni uomo. Le due ore di durata complessiva di quest’opera ci attestano che molto probabilmente essa non fu concepita per il culto. Ma questo particolare allora la rende ancora più grande: ci dice che si può fare della grande musica in onore di Dio anche al di fuori delle funzioni liturgiche di una chiesa o di un’altra e lo si può fare anche in una forma musicale tipica di una confessione diversa dalla propria. La Messa in si minore non dice che Bach è divenuto cattolico, ma semplicemente che si è “declericalizzato”: testimonianza altissima «di uno spirito religioso, certo, ma non bigotto» (G. Long, op. cit., p. 304).

Dalla Messa in si minore BWV 232, la conclusione dell’Agnus Dei:

Dona nobis pacem.

Bibliografia
  • Hartlapp (Hgb.), Die Lieder Martin Luthers, Spröda 2013
  • Long, Johann Sebastian Bach. Il musicista teologo, Torino 19972;
  • Rueb, Achtundvierzig Variationen über Bach, Leipzig 20055;
  • Theobald Ch. – Charru Ph., La teologia di Bach. Musica e fede nella tradizione luterana, Bologna 2014.
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