Ecumenismo, un quadro d’insieme

SETTIMANA DI FORMAZIONE DEHONIANA (ALBINO, 28 AGOSTO – 1 SETTEMBRE 2017)

Ecumenismo, un quadro d’insieme

Ecumenismo, un quadro d’insieme

Alfio Filippi

(appunti da integrare nel parlato di una conferenza)

Con la parola ecumenismo (moderno) intendiamo il movimento, nato all’interno del cristianesimo a inizio nel XIX secolo, che si prefigge di lavorare, a livello teologico ed ecclesiale, per superare le divisioni presenti tra i cristiani sin dall’antichità.

1. Le date di riferimento

1. All’inizio la missione. 1910 giugno. Prima conferenza missionaria mondiale. Edinburgo.

Precedenti in India (gennaio 1900) e a New York (maggio 1900).

Le chiese vivono il problema di annunciare un Cristo diviso. Si interrogano come superare questa situazione, che è una controtestimonianza al Vangelo annunciato. Quale vangelo e quale Cristo annunciamo?

Animatore del movimento John Mott.

Nell’ottobre 1921 si costituisce a LakeMohont (NY) il Consiglio Missionario Mondiale.

Alla domanda di Edinburgo si delineano ben presto due risposte di soluzione:

1) la teologia divide, perché da essa sono nate le concezioni diverse, l’azione e l’opera di bene praticata assieme ci potrà riunire: movimento Vita e Azione. Terrà la sua prima conferenza mondiale a Stoccolma nel 1925.

2) se le divisioni sono sorte dalla teologia, la stessa teologia dovrà risolverle: movimento Fede e Costituzione/Ordinamento, ove viene messo a fuoco il fatto che la concezione teologica di chiesa determina un ordinamento/costituzione interna alla Chiesa (es. chiesa episcopale dal sacramento dell’ordine,..). Terrà la sua prima conferenza mondiale a Losanna nel 1927, ove viene fatta una prima ricognizione dei temi del consenso e del disaccordo tra le Chiese. Partecipano alla conferenza anche gli ortodossi. Animatore Charles Brent.

Nel 1920 il Patriarca Ecumenico (Costantinopoli) scrive una lettera enciclica alle chiese ortodosse sostenendo che l’impegno ecumenico è un’urgenza per le chiese cristiane.

** I tre ambiti: missione, vita e azione, fede e costituzione costituiranno i tre ambiti di riferimento che daranno forma complessiva al movimento ecumenico, Cf III° incontro.

** Nella fase iniziale sono protagoniste del movimento le chiese anglosassoni e, in second’ordine, le ortodosse. Teologia, mezzi, influsso politico.

** Assente la Chiesa cattolica, che pure svolge un’attività missionaria impressionate.

2. Consiglio Ecumenico delle Chiese CEC). Nel 1948, dal 22 agosto al 4 settembre si riuniscono ad Amsterdam i rappresentanti di 147 chiese in maggioranza dell’Europa e del Nord America, solo 37 provengono dell’Africa. Il tema della convocazione è «Il disordine dell’uomo e il disegno di Dio», e bene si applica sia al movimento ecumenico in quanto tale, sia a quel momento storico di dopoguerra e ricostruzione. Il 23 agosto viene votata la costituzione del Consiglio ecumenico/mondiale della Chiese. Non sono presenti le chiese ortodosse e la Chiesa cattolica.

Il mondo è diviso, la teologia è divisa, unilateralismo di una teologia fatta tutta dagli occidentali ricchi, difficoltà delle comunicazioni.

La th della prima parte del ‘900 è solo occidentale, solo negli anni ‘70-80 nasceranno le teologie del terzo mondo, e negli stessi anni la teologia ortodossa in diaspora avrà una sua produzione e diffusione.

Testo e atti di fondazione in EO 5: «Sia benedetto Dio ns Padre e il ns Signore Gs X che riunisce in uno i figli di Dio dispersi. (accentuazione cristologica). Riuniti da lui ad Amsterdam, siamo una cosa sola confessandolo Dio e Salvatore. Siamo divisi gli uni dagli altri non solo in materia di fede, ordine ecclesiastico (order) e di tradizione, ma anche dal nostro orgoglio nazionale, di classe e di razza. Ma Cristo ci ha fatto suoi, e lui non è diviso. È cercandolo che noi ci troviamo (accentuazione cristologica).

[Pochi anni dopo, a Lund nel 1952, FeC scriverà: «Ancora una volta è emerso chiaramente che più cerchiamo di avvicinarci a Cristo più ci avviciniamo fra di noi» FeC, Lund 1952, EO 1719 – principio enunciato da W. Temple, allora arcivescovo di York)]

Perciò ad Amsterdam ci siamo nuovamente impegnati nei suoi confronti e abbiamo stretto un’alleanza (la parola è teologica: richiama il rapporto Dio-Israele, qui portata a indicare il rapporto chiesa con chiesa), costituendo il Consiglio ecumenico delle Chiese. E invitiamo tutte le comunità cristiane locali nel mondo a riconoscere l’”alleanza” che abbiamo stretta e a mantenerla nei loro rapporti reciproci».

L’impianto del testo è a prevalenza cristologica; l’ecclesiologia è appena accennata (comunità cristiane locali). L’«alleanza» è «basata sul comune riconoscimento che il Xo è il capo divino del Corpo».

«Poiché crediamo in Gesù Cristo, crediamo anche nella Chiesa come corpo di Cristo» (FeC, Lund 1952, EO 6, 1722).

«L’appartenenza al CEC comporta un certo grado di riconoscimento [tra le chiese], poiché le chiese si riconoscono reciprocamente al servizio dello stesso Signore. Ma esistono ancora differenze di fede e costituzione (faith and order) e l’appartenenza al CEC non richiede a una chiesa di considerare tutti gli altri membri come chiese in senso pieno» (FeC, Lund 1952, EO 6, 1754).

«Negli inviti alle conferenze mondiali di FeC va specificato che queste conferenze devono essere composte da delegati ufficiali della chiese che accettano Gesù Cristo come Signore e Salvatore» (Assemblea di Nuovea Delhi, 1961, nel testo che trasforma FeC, in commissione del CEC, EO 5, 405).

L’ecclesiologia non è affrontata perché nelle Chiese ortodosse e in molti partecipanti si ha paura che il CEC si configuri come una «super chiesa», che condizioni le singole identità ecclesiali; da parte ortodossa si teme che venga imposta la visione di chiesa delle comunità riformate, mentre la chiesa cattolica semplicemente ignora l’avvenimento.

Per fugare queste diffidenze nel 1950 il CEC pubblicherà la «Dichiarazione di Toronto»; in essa si afferma la «neutralità ecclesiologica del CEC»: esso non intende essere una super chiesa e non sposa una ecclesiologia definita. Le chiese aderiscono al CEC conservando la propria ecclesiologia e la propria identità.

La sede a Ginevra, il governo è operativamente in mano al segretario generale, al presidente e al comitato centrale. L’assemblea generale si tiene ogni 7 anni. Primo segretario generale del CEC è stato l’olandese Willem A. Visser’t Hooft, del quale la Claudiana ha pubblicato nel 2015 un documentata biografia.

I tre movimenti, che hanno fornito persone e idee per rendere possibile la nascita del CEC sono: il Consiglio Missionario Internazionale, che si era costituito nel 1931, Vita e Azione e Fede e Costituzione, ripensano le loro attività in riferimento ad esso; Alla 3a assemblea generale del CEC (Nuova Delhi 1961), verranno costituite la commissione di FeC e di Missione al mondo ed evangelizzazione (WME) (EO 5, 405-406).

In tal modo il CEC esprimerà, subito e in continuità nei decenni, la sua presenza nelle tre direzioni sopra ricordate: superamento delle divisioni nell’attività missionaria;  cooperazione per una società giusta e pacifica; studio delle differenze dottrinali.

La storia del CEC si può ricostruire o attraverso le sue assemblee mondiali, tenute ogni 7 anni o attraverso i programmi e conferenze organizzati in questi tre settori. Per le conferenze di settore ricordo quelle mondiali di Seoul del 1991 su «Giustizia, pace e salvaguardia del creato» e quella di San Antonio (1989) sulla missione.

3. La dichiarazione di Toronto sulla neutralità ecclesiologica (1950) nasceva anche dalla necessità di venire incontro al «disagio» delle chiese ortodosse, che non accettarono di aderire al CEC, pur lavorando all’interno di FeC. Da un lato esse avevano paura di una concezione di chiesa uscita dalla Riforma e dall’altra temevano che il CEC si pensasse come un’organizzazione forte (difatti nasceva dalle chiese ricche del nordamerica e nordeuropa), una superchiesa che negava le realtà più deboli.

Nel 1961, a conclusione dell’assemblea mondiale di Nuova Delhi, entrarono nel CEC 4 chiese ortodosse, compresa la Chiesa russa.

L’ortodossia comunque continuerà a sentirsi penalizzata all’interno del CEC dal fatto che le decisioni vengono prese con un voto della singola chiesa e non viene presa in considerazione la forza numerica e rappresentativa delle singole chiese. La Chiesa russa, che rappresenta decine di milioni di fedeli, esprime un voto come la piccola chiesa in diaspora con esiguo numero di fedeli. E d’altra parte le chiese ortodosse ebbero degli effetti positivi sui programmi del CEC, come quando patrocinarono il programma di valorizzazione del Credo niceno-costantinopolitano. Per le chiese ortodosse dei paesi sotto il regime comunista la presenza nel CEC costituì un prezioso canale di comunicazione con l’occidente.

4. Conferenza delle Chiese Europee (KEK). Quest’ultimo aspetto obbliga a prendere in considerazione un’altra organizzazione ecumenica, determinante per i contatti tra le chiese nell’epoca della guerra fredda e oggi relativizzata nelle sue attività: la Conferenza delle Chiese Europee (KEK), che raccoglie tutte le chiese non cattoliche dell’Europa. Al tempo in cui l’Unione Sovietica controllava i paesi satelliti con regimi polizieschi, le chiese ortodosse e riformate dell’est Europa trovarono nella KEK e nelle sue iniziative un luogo di informazione e di confronto unico e prezioso. Tra le chiese riformate dell’est Europa che furono protagoniste in quelle riunioni vanno citate le chiese hussita e riformata in Cechia e Ungheria, come le chiese ortodosse dei vari paesi.

In questo contesto è onesto ricordare la figura di Josef Hromadka (1889-1969 = dall’impero austroungarico alla russificazione dell’est-Europa), pastore e teologo di origine boema e luterana, che promosse la fusione con i «fratelli boemi», ebbe una ricca formazione teologica in occidente, ove si rifugiò al tempo del nazismo. Dopo la sovietizzazione dei paesi dell’est, fu convinto assertore della posizione di «lealismo realista» verso il regime e fondò la Conferenza per la pace, alla quale aderirono molte chiese riformate e ortodosse del’est Europa. In grado dialogare con i teologi dell’occidente, all’interno della KEK fu strenuo difensore dell’organismo come luogo di informazione, di comunicazione e di comunione in un periodo i cui quasi tutti i rapporti e i canali di reciproca conoscenza erano interrotti. Suo merito fu anche quello di far comprendere alle chiese dell’occidente la loro contraddizione nel considerare normale e giusta la loro identificazione con il capitalismo imperante (=orrori del colonialismo) e il loro identificare l’Europa semplicemente con l’Europa occidentale. Rappresentò sempre la facoltà di teologia dell’università di Praga e le diede autorevolezza con le sue posizioni documentate e inconsuete in occidente.

La KEK nasce al seguito di 5 riunioni iniziate in Danimarca nel 1959; si dà uno statuto nel 1964 e diventa pienamente operativa nel 1968 quando si dà un segretario permanente. Da allora le comunicazioni e gli scambi tra le chiese dell’est e quelle dell’ovest divenne regolare, pur se sotto il controllo dei vari regimi.

Di rilevante significato ecumenico fu la collaborazione ufficiale e prolungata tra la Conferenza delle Chiese Europee (KEK), tutte non cattoliche, e il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE). I due organismi, anche per merito di presidenti altamente autorevoli sui due fronti (ad es., Alessio, metropolita di Leningrado che diventò poi patriarca di Mosca, per la KEK, i cardd. Etchegaray e Martini per il CCEE), organizzarono incontri di peso internazionale sia a livello teologico: ad es., uno sul Credo a Riva del Garda nel 1985, che si concluse con una liturgia comune nel duomo di Trento, e l’assemblea sulla giustizia e la pace in Europa, tenuta a Basilea nel maggio 1989, proprio alla vigilia del crollo della cortina di ferro.

L’ultimo rilevante risultato della collaborazione tra i due organismi è stata la celebrazione e la pubblicazione a Strasburgo della Carta Ecumenica (2001), che indica linee guida di collaborazione tra i cristiani di chiese diverse in Europa.

5. Chiesa cattolica e Vaticano II. L’epoca della nascita e dell’affermarsi dell’ecumenismo è quella in cui la Chiesa cattolica vive il momento più forte di autodifesa degli ultimi secoli: sperimenta la fine del potere temporale dei papi (fine dello Stato della Chiesa), seguita quasi subito dalla crisi modernista. Pio X (1903-1914) risponde arroccandosi in una chiusura metodologica al nuovo: mette rigide frontiere alla ricerca teologica e riorganizza all’interno il corpo ecclesiale (fa partire la stesura del Codice di Diritto canonico, che verrà pubblicato dal suo successore nel 1917, ma che deve essere considerato opera sua). Pio XI deve far fronte all’aggressione delle ideologie: rivoluzione d’ottobre (1917), persecuzione in Messico (1926-29), fascismo e nazismo.

Conseguenza di questi frangenti epocali fu che la Chiesa cattolica visse fino alla morte di Pio XII il massimo della centralizzazione e dell’uniformità come modello ecclesiale. Centralizzazione e uniformità sono quanto di più direttamente si oppone all’ecumenismo. Da qui la ripetuta diffida verso l’iniziativa ecumenica da parte della gerarchia ecclesiastica cattolica.

Nascono però in vari paesi istanze di apertura, come in alcuni ambienti teologici tedeschi e con l’ecumenismo spirituale. La settimana di preghiere per l’unità dei cristiani nasce nell’800 in ambiente protestante e anglicano, ma nel 1935 il sacerdote francese Paul Couturier la lancia in Francia e nel 1958 il Centro ecumenico unità cristiana (Centre Oecuménique Unité Chrétienne) inizia la collaborazione con fede e Costituzione per la preparazione dei testi di preghiera per la settimana.

Giovanni XXIII annuncia il Vaticano II come un concilio aperto alle altre Chiese (cf. la parte conclusiva della costituzione apostolica di indizione). Papa Roncalli non vorrà alcuna scomunica da parte del concilio e con esso egli introduce pienamente la Chiesa cattolica in atmosfera ecumenica con il decreto Unitatis redintegratio, con Nostra aetate sulle religioni non cristiane, con la Gaudium et spes sulla società contemporanea, con l’aver posto la Sacra Scrittura al centro della vita della chiesa (Sacrosanctum concilium e Dei verbum.

La scelta ecumenica diventa anche strutturante la Santa Sede, perché ai testi conciliari seguirà l’istituzione del Segretariato per l’Unità dei cristiani, ora Pontificio consiglio.

Nel giorno di chiusura del concilio, l’8 dicembre 1965 vengono tolte le scomuniche reciproche tra il papa di Roma e il patriarca di Costantinopoli.

Dall’insieme dei documenti del Vaticano II e dalla loro applicazione si deducono i principi dell’ecumenismo per la Chiesa cattolica. E questo sarà il tema del prossimo incontro.

6. Sodepax, Vita e Azione, rapporti Stato Chiesa. Parte la collaborazione con il CEC, che si svilupperà con la presenza di teologi cattolici nella commissione di Fede e Costituzione, con la stesura a due voci dei testi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, con la costituzione del comitato SoDePax (Solidarietà Sviluppo Pace). Quest’ultimo organismo richiede una riflessione a sé, perché metterà in gioca e poi in crisi il capitolo dell’ecumenismo sociale (Vita e Azione) messo in atto con la collaborazione tra Santa Sede e CEC. Esso è collegato al grande fenomeno della decolonizzazione, con la nascita di stati indipendenti. L’organismo bilaterale Sodepax ha accompagnato l’aiuto ai movimenti di liberazione, con tensioni interne al CEC e nei rapporti tra CEC e Roma. L’attività sociale delle chiese porta inevitabilmente a delle scelte e a delle prese di posizione che implicano delle valutazioni e dei giudizi in ambito sociale e politico, fino a mettere in causa il rapporto tra potere politico e rappresentanza ecclesiale. L’azione ecumenica giunge a toccare l’azione politica e molte chiese ne saranno coinvolte in molti paesi. Basti ricordare che l’Alleanza Riformata Mondiale, di fronte alla pratica dell’apartheid pratica da alcune chiese in Sudafrica, fede appello allo «stato di confessione» fino all’espulsione dall’Alleanza di alcune chiese che continuavano a praticare il razzismo. Impegnandosi in Sodepax, la Santa Sede doveva fare i conti anche con gli episcopati cattolici locali, da un lato, e con le sue rappresentanze diplomatiche dall’altro. Sodepax fu accusato, da chiese e governi, di appoggiare movimenti filomarxisti e l’esperienza dovette essere interrotta.

I temi sociali e politici sono entrati nel CEC anche e soprattutto per la diversa concezione che le varie tradizioni cristiane hanno sui rapporti stato-chiesa e chiesa-società. Il tema rientra nel «fattori non teologici della divisione» (cf. più avanti).

Papa Francesco ha messo l’impegno comune delle Chiese come tratto proprio dell’ecumenismo nella dichiarazione di Lund (31.10.2016), in apertura del 500° anniversario della Riforma: per incarnare la rinciliazione, è stato firmato a Malmö un accordo di collaborazione istituzionale tra la Caritas internationalis e il World Service della FLM;  nella visita alla parrocchia anglicana di Roma, via del Babbuino (200° anno di fondazione): gemellaggio con la parrocchia cattolica  di Ognissanti e opera comune alla stazione ostiense…

7. Dialoghi teologici bilaterali e multilaterali. Partono i dialoghi teologici bilaterali e multilaterali tra le chiese per risolvere il loro contenzioso. Come è organizzato un dialogo teologico tra chiese: le due autorità, la commissione e il suo funzionamento, la stesura del testo, consenso totale o differenziato, trasmissione alle chiese, recezione nelle varie forme. Nei decenni successivi si è creata una teologia condivisa e riconciliata.

Tre esempi di consenso. Testi esemplari di teologia e di chiese riconciliati sono la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, firmata tra chiesa cattolica e chiese luterane nel 1999; la Concordia di Leuenberg, firmata nel 1973 tra chiese riformate e luterana, con l’adesione successiva di numerose chiese, propone la comunione di pulpito e altare, con relativo scambio di ministri; il documento di consenso multilaterale coordinato dal CEC, approvato a Lima nel 1982 su Battesimo Eucaristia e Ministero. Conseguenze positive: si è giunti a tradurre il consenso in liturgia vissuta: es. della messa per l’assemblea mondiale di Fede e Costituzione a Santiago de Compostela; nuova valorizzazione del simbolo liturgico da parte di chiese nate dalla Riforma.

Un problema: l’accoglienza, ricezione, dei testi di consenso nelle Chiese. Per tutte le chiese: non esiste un ecumenismo di popolo se non per circostanze specifiche (l’esperienza dei grandi eventi: Basilea, Augusta, Strasburgo…), la Chiesa cattolica vive ancora delle conseguenze della scelta di Paolo VI: avocò al sé la decisione su 5 punti:

1) collegialità episcopale (sulla quale rispose con l’istituzione del sinodo dei vescovi come organo consultivo del papa, sett. 1965), 2) celibato sacerdotale (sul quale rispose con l’enciclica Sacerdotalis celibatus, 1967), 3) contraccezione (che affrontò con l’enciclica Humanae vitae, 1968), 4) riforma della Curia (definita con la costituzione apostolica Pastor Bonus, 1988), 5) conseguenze operative che possono derivare dai testi di consenso. Su quest’ultimo punto non ci fu alcuna indicazione, fatto tanto più rimarchevole, visto che all’origine dell’interrogativo fu il gesto di Paolo VI, che tolse la scomunica dal 1054 lanciata dal card. di Silva Candida al patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario. Un’opera rimasta incompleta. Sono state tolte le scomuniche tra Roma e Costantinopoli: che conseguenze pratiche ne hanno dedotto le chiese su intercomunione, riconoscimento reciproco di ministeri e sacramenti, collaborazioni posibili…? Cattolici e luterani (Conf. ep. ted. ed EKD) hanno dichiarato nulle le reciproche scomuniche lanciate ai tempi della riforma: concretamente questa pacificazione canonica cosa produce?

Siamo di fronte a un futuro da costruire. In base al limitato influsso del consenso ecumenico raggiunto nella vita del cristiano ordinario possiamo dire che l’ecumenismo non è ancora entrato nel sangue delle chiese.

8. Lo sconvolgimento del 1989 in est Europa. La crisi interna all’URSS in seguito agli avvenimenti del 1989 e l’indipendenza dei paesi satelliti ha segnato la fine del rapporto privilegiato della chiesa ortodossa con il regime dei singoli paesi. Ciò ha portato alla rivendicazione dei propri diritti e dei propri possedimenti da parte delle chiese cattoliche di rito orientale, che erano state soppresse e perseguitate dal 1946-48 al tempo dello stalinismo. Ne è derivato per reazione sia una frammentazione interna al cristianesimo di alcuni paesi, come l’Ucraina, (esemplifica) sia il blocco del dialogo teologico bilaterale tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa, che procedeva da decenni e aveva prodotto dei risultati teologici su temi come il Filioque, il purgatorio, i sacramenti dell’iniziazione cristiana.

9. Le chiese libere e il pentecostalismo. Sviluppo negli anni ‘80/90 delle chiese libere in America Latina e USA e, ancor prima, in Africa: un ecumenismo che deve tener conto di una teologia diversa nei metodi e nelle affermazioni: il senso del ministero, dimensione dottrinale del Credo, che cosa costituisce la comunità credente.

Il pentecostalismo e la riproposta radicale della domanda: che cosa è una chiesa? che cosa costituisce e fa essere chiesa? la teologia definita e la conseguente costituzione ministeriale vi ha un posto? oppure l’aspetto emozionale e soggettivo, di rapporto spontaneo è determinante? È un interrogativo che coinvolge allo stesso modo il CEC, le federazioni delle chiese tradizionali la chiesa cattolica.

10. I nuovi motivi di divisione. Accanto ai dialoghi nel postconcilio sono nati tra le chiese dei nuovi motivi di divisione sui temi dell’etica e del ministero. Temi etici: matrimonio e divorzio, origine e fine della vita, sesso e omosessualità. Ministero: ordinazione della donna. Il percorso decisionale dell’Anglicanesimo e la sua correttezza.

2. I principi dell’ecumenismo cattolico

1. Quanto detto sopra sui dialoghi teologici e sulla costituzione di Sodepax tra CEC e Santa Sede, porta già a un’affermazione di sintesi: la Chiesa cattolica dopo il Vaticano II ha assunto pienamente i due impegni espressi dall’ecumenismo cristiano fin dal suo sorgere: il dialogo teologico (FeC) e la pratica comune della carità operosa (Vita e Azione).

Ma il documento del Vaticano II sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio Il ristabilimento dell’unità, delinea un quadro molto ricco di suggerimenti. Sottolineo i più importanti.

2. Il «disegno della grazia», una visione ottimista. All’inizio del documento viene detto espressamente che i cattolici credono che il movimento ecumenico fa parte di un disegno positivo di Dio sull’umanità (UR l/495). Inquadra in una prospettiva la trasformazione delle Chiese. Importanza della visione positiva con cui il Vaticano II vede la storia del divenire cristiano. La formulazione più matura di questa impostazione positiva nel leggere il cristianesimo si ha nei primi numeri del documento sulle missioni Ad Gentes.

«La chiesa, che è sale della terra e luce del mondo, avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura, perché tutte le cose in Cristo siano ricapitolate e gli uomini in Lui costituiscano una sola famiglia e un solo popolo di Dio» (AG 1/1086).

«Il piano di Dio Padre scaturisce dalle “fonte d’amore”, cioè dalla carità di Dio Padre» che «per la sua immensa e misericordiosa benevolenza ci ha liberamente creati e inoltre gratuitamente chiamati a partecipare alla sua vita e alla sua gloria», «promuove insieme la sua gloria e la nostra felicità» (AG 2/1991).

«Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano non si attua soltanto in una maniera, per così dire, segreta nella mente degli uomini e nelle iniziative con cui essi cercano Dio, ma egli al fine di stabilire la pace, cioè la comunicazione intima tra Sé e gli uomini, e di realizzare tra gli uomini stessi un’unione fraterna, decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro per riavvicinare a sé il mondo» (AG 3/1092).

La struttura interpretativa della storia è nel Vaticano II fortemente positiva: non parte dal peccato originale o dall’esperienza del male nella storia, ma dal Piano positivo di Dio « per la comune salvezza» (AG 3/1094), espressione usata anche nella DV e presa dal Credo. Un principio fondamentale: per capire il xmo, bisogna partire dalla volontà salvatrice di Dio.

3. La divisione: un dato di fatto. In UR non è presente un giudizio né storico né morale sulla separazione intervenuta tra le Chiese, Certo, se occorre ricostruire l’unità, è chiaro che la divisione viene considerata come un male. Ma il testo parte da un dato di fatto: c’è la separazione (n. 3/503). Non si qualifica la separazione come peccato, perché si vuole guardare avanti.

4. Partire dal positivo. Nei rapporti ecumenici bisogna partire in modo positivo, riconoscendo il grado di unità presente tra le chiese caso per caso (n. 3/503).

È riconosciuto il primato del battesimo, che incorpora a Cristo. Per la chiesa cattolica tutti i battezzati sono fratelli. Notazione importante, perché alcune chiese continuano a ribattezzare i cristiani che chiedono di essere ammessi da altra chiesa.

5. Il già condiviso. Nei rapporti ecumenici bisogna articolare in modo chiaro quanto è già condiviso: sacramenti, Parola di Dio, vita di grazia, virtù teologali, spiritualità vissuta dalle persone (n. 3/504). Notare il riconoscimento: «producono vita di grazia», «aprono l’ingresso nel cammino della salvezza», «in Cristo le chiese sono strumenti di salvezza» (n. 3/505.506).

6. Semper reformanda. La Chiesa ha sempre bisogno di riforma (n. 6/520).

7. La polemica non serve a costruire. Venga insegnata e praticata una teologia non polemica (n. 10/531).

8. Una parola cardine: gerarchia delle verità. Il Vaticano II enuncia un principio nuovo in una chiesa costruita sul monolitismo. Nel dialogo ecumenico si tenga conto della gerarchia delle verità (n. 11/537). La gerarchia viene determinata dal riferimento al mistero centrale della fede che è la persona di Cristo, Dio incarnato (n. 11/536).

Due applicazioni:

  1. l’autorevolezza di un’affermazione teologica presenta molti livelli: il dogma in sé – la formulazione del dogma (recenti dichiarazioni di consenso tra due : papi cristiani: consenso cristologico sostanziale al di là della formulazione diversa) – una dottrina definita (Credo niceno-costantinopolitano) – una dottrina universalmente affermata e condivisa – uno sviluppo dottrinale particolare di una chiesa locale (culto eucaristico nella chiesa latina; purgatorio; distinzione dei tre sacramenti dell’iniziazione cristiana…), affermazioni teologiche nate da una filosofia contingente (la natura in sé e il Limbo); prassi consolidata e legittima di diversità ecclesiale, fino alla pastorale che è debitrice di cultura, spesso solo ispirata alla teologia: l’angelologia, mariologia e sua devozione… (Rosario e Lepanto, l’Addolorata e il rientro di Pio VII a Roma).
  2. le devozioni nel cristianesimo latino entrano a livello pastorale: l’applicazione di questo principio produce sanità teologica e spirituale.

9. Vita e Azione. La cooperazione in campo sociale deve essere praticata sempre e comunque: è «applicazione sociale del Vangelo», produce conoscenza e stima reciproca e quindi è via all’unità (n. 12).

10. Conoscere e riconoscere l’identità degli altri.

A: le chiese orientali. Quadro descrittivo della «tradizione liturgica e spirituale degli orientali». il testo è importante perché è un riconoscimento autorevole della specificità ecclesiale loro propria, diversa da quella latina, a livello di tradizione storica, di teologia, di liturgia, di diritto.

11. Conoscere e riconoscere l’identità degli altri.

B: le chiese nate dalla Riforma. I cattolici debbono ricordare che esistono le Riforme al plurale.

12. Il primo millennio indiviso. Da questo riconoscimento l’enciclica di Giovanni Paolo II Ut Unum sint farà discendere la esemplarità del «primo millennio della chiesa indivisa»:

«Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci», esemplarità sia in positivo (ciò che si è) che in negativo (ciò che le chiese hanno perso dividendosi: la divisione crea impoverimento) – UUS nn. 55.56.

Un principio che costituisce un grande interrogativo, sia per la chiesa latina, che per quella ortodossa e per le chiese nate dalla Riforma. Temi: Fede e Costituzione in senso operativo, come episcopalità, sacramenti, liturgia, sinodalità, indipendenza giuridica dei patriarcati…

13. Il martirio: un’esperienza comune. È una prospettiva nuova fortemente sottolineata da UUS nn. 82-85: «Tutte le comunità cristiane hanno dei martiri della fede… Per tutte le comunità cristiane i martiri sono la prova della potenza della grazia… Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l’ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi della salvezza…, ma in primo luogo e innanzitutto questa realtà della santità. Va reinterpretato l’assioma extra ecclesia nulla salus, tenendo conto della santità espressa in tutte le chiese.

14. Il mutuo arricchimento. «Siamo consapevoli, in quanto Chiesa cattolica, di aver ricevuto molto dalla testimonianza, dalla ricerca e finanche dalla maniera in cui sono stati sottolineati e vissuti dalle altre Chiese e Comunità ecclesiali certi bene cristiani comuni. Tra i progressi compiuti durnte gli ultimi trent’anni, bisogna attribuire un posto di rilievo a tale fraterno influsso reciproco» (UUS n. 87. parallelo a quanto il n. 56 dice sull’impoverimento della Chiesa d’Occidente causato dalla divisione dall’Oriente).

15. L’aspetto istituzionale della Chiesa cattolica. FeC. Centralizzazione forte, Santa Sede e sua organizzazione (un dicastero apposta per l’ecumenismo), un Codice di diritto proprio, la dimensione della Chiesa locale (ad es. Germania e abolizione delle scomuniche, Italia e testo CEI chiesa valdese per i matrimoni misti), il radicamento in contesti culturali molto diversi (ad es. le chiese uniate, o chiese arabe come i maroniti), la molteplicità delle università a distribuzione mondiale…

16. Verifica a posteriori dell’importanza dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica: lo scisma del vescovo Lefebvre. Quasi dopo ogni concilio la minoranza che non accetta il nucleo centrale della dottrina in esso affermata dà vita a una scissione della Chiesa. Vaticano I: Döllinger e i Vecchi cattolici (cristiano-cattolici) rifiutano l’infallibilità pontificia. Vaticano II: Lefebvre rifiuta l’ecumenismo e la libertà religiosa. Una prova che l’ecumenismo è uno degli aspetti più significativi del Vaticano II.

3. Le vie e i luoghi del dialogo ecumenico

Tornando al punto da cui siamo partiti, il padre e la madre del movimento ecumenico moderno sono stati il movimento di Fede e Costituzione e il movimento Vita e Azione; levatrice è stato il Congresso Missionario Mondiale a Edinburgo del 1910. il padre e la madre non hanno abbandonato il figlio e anzi hanno fortemente contribuito a farlo crescere fino a renderlo adulto.

Dopo la nascita del CEC (1948), Fede e Costituzione (FeC) si è trasformata nella commissione teologica del CEC, mentre Vita e Azione (VeA) è confluito del CEC e ha rappresentato continuamente la coscienza sociale del cristianesimo pratico: «Dobbiamo sopratutto al movimento VeA e al suo lavoro pioneristico se oggi il movimento ecumenico si interessa così attivamente a temi sociali quali il razzismo, la giusticia, l’ordine economico, la democrazia, i diritti umani, la libertà religiosa…», in una parola del rapporto chiesa-mondo (Dizionario del Movimento Ecumenico, s.v.).

1. FeC, la via teologica dell’ecumenismo. Nasce dal principio: la divisione tra le chiese nasce dalla teologia, partendo dalla teologia bisogna risanarla. Strumento operativi: dialoghi teologici bilaterali, dialoghi teologici multilaterali, dichiarazioni congiunte ai vertici di chiese. L’humus da cui nasce la possibilità di dialoghi teologici è la condivisione del metodo e delle conoscenze teologiche. Il movimento liturgico e il movimento biblico sono fattori determinanti di questo l’humus. Cito come esempio del primo (movimento liturgico) la riscoperta del principio teologico di «memoriale», che ha permesso di superare la rigidità scolastica del concetto di «transustanziazione», per affermare la presenza reale di Cristo nella santa cena. Come esempio del secondo l’impostazione degli studi teologici che il Vaticano II prescrive nella formazione del clero: centralità del «mistero di Cristo», «la Sacra Scrittura deve essere come l’anima di tutta la teologia» (OT nn. 14 e 16). Di fatto oggi i teologi lavorano condividendo totalmente gli strumenti e il metodo di lavoro. Ma attenzione a quanto dico sotto al punto 21, «la teologia divide più del dogma».

In linea generale si può affermare che con il movimento ecumenico è avvenuto  il passaggio da una «teologia controversistica» e apologetica a una «teologia riconciliata» e condivisa.

Esempio di risultati concreti sono il testo di consenso sulla giustificazione tra chiesa cattolica e chiese luterane (1999), firmato nel 2006 anche dal Consiglio Mondiale della Chiesa Metodista e il 5.07.2017 dalla Comunione Mondiale dela Chiese Riformate;

l’abolizione delle reciproche scomuniche del tempo della Riforma tra chiesa cattolica tedesca e chiesa luterana tedesca (1985, EO 2/1482-1500);

il documento su Battesimo Eucaristia e Ministero (BEM), Lima 1982, a livello di dialogo multilaterale organizzato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC).

Tra le dichiarazioni comuni di consenso di responsabili di chiese, si può ricordare quella tra Paolo VI e il papa copto ortodosso Shenouda III, che sancisce il consenso cristologico sulla persona di Gesù Cristo, riconosciuto «Dio perfetto riguardo alla su divinità e perfetto uomo riguardo alla sua umanità». La dichiarazione è del 10.05,1973; è stata ricordata e ripetuta alla lettera da papa Francesco nell’incontro con il papa Tawadros II il 28.04.2017. La dichiarazione fa cadere l’accusa di monofisismo che veniva mossa dalle altre chiese a quella copta ortodossa.

2. VeA, la via della carità e della giustizia. Il movimento VeA muove dal principio dialettico rispetto a FeC: la divisione tra le chiese è nata dalla teologia, rimediamo dedicandoci all’azione fatta in comune. La collaborazione nella carità, cioè la pratica di un cristianesimo sociale, nasce tra le chiese sia come risposta al vangelo sia dal riconoscimento che tra di loro c’è già una unità costitutiva e fondamentale.

«Nonostante le divisioni, esiste nel cristianesimo un’unità già donata da Dio in Cristo, grazie al quale sono già presenti in mezzo a noi “le potenze dell’età futura”. Non abbiamo dubbi riguardo alla realtà di questa unità e alla partecipazione di ogni cristiano alla stessa» (FeC, Lund 1952, EO 6, 1755).

Cf. il n. 6 per la collaborazione instaurata tra la Santa Sede e il CEC con Sodepax, per la diversa configurazione giuridica delle varie chiese, per il loro rapporto con gli assetti politici-istituzionali, per lo «status confessionis»…

Basti qui ricordare che dopo l’incontro di papa Francesco con i vertici della FLM a Lund il 31.10.2017 è stato firmato un accordo di collaborazione tra il servizio diaconale luterano e la Caritas Internationalis, per una collaborazione stabile nel settore sociale.

Le chiese fanno ecumenismo con «la lingua comune della carità». Papa Francesco a Tawadros (28.04.2017)

3. La via del martirio. Enciclica Ut unum sint, 1995, GP II, nn. 83.84. Parte da un principio teologico antico (il martirio è testimonianza della fede), per darne un’applicazione sulla contemporaneità ecclesiale: «In una visione teocentrica, noi cristiani abbiamo un Martirologio comune. Esso comprende anche i martiri del ns secolo… Per tutte le comunità cristiane i martiri sono la prova della potenza della grazia… La comunione non ancora piena delle nostre comunità è in verità saldamente cementata nella comunione dei santi… Questi santi vengono da tutte le chiese e comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l’ingresso nella comunione della salvezza». Cf. decorazione statuaria della cattedrale di Westminter. Ripresa continua di questo tema da papa Francesco, che a Il Cairo ha detto, in risposta al discorso di accoglienza del patriarca copto ortodosso Tawadros,: «unico è il nostro martirologio» e ha parlato di «ecumenismo del sangue» (28.04.2017). Da qui la venerazione delle vittime riformate da parte cattolica fatta da GP II nella sua visita a Debrecen (Ungheria) il 18.08.1991.

4. I modelli di unità. È il tema sul quale si è affaticata in modo particolare la commissione di FeC nelle sue varie assemblee.

Il modello iniziale del ritorno. Così è cominciato ogni ecumenismo: la propria chiesa al centro.

Unità organica. «Alcuni di noi ritengono che l’unità della chiesa debba essere una unità organica, perché è l’unità del corpo di Cristo» (FeC, Lund 1952, EO 6, 1775); dunque quella di «un organismo vivente con la caratteristica varietà di membra di un corpo sano». Ma ciò comporta inevitabilmente «una morte e una rinascita di molte forme della vita ecclesiale così come noi le abbiamo conosciute» (si oppone alle identità denominazionali = denominazionalismo; tra l’altro il proliferare di chiese libere è a favore del denominazionalismo anziché dell’unità organica).

Comunione conciliare. È l’indicazione di come si possa realizzare l’unione fra le diverse chiese che si riconoscono all’interno di un quadro di riferimento comune. Il modello è pensato in modo particolare per chiese la cui diversità è determinata più dalla storia e dall’incarnazione in culture diverse che dalla diversa interpretazione del Vangelo.

Diversità riconciliata. Il modello afferma la «legittimità delle (attuali) diversità confessionali e quindi dalla necessità di conservarle», come punti di riferimento all’interno di una più ampia identità cristiana.

Comunione di comunioni. Le varie tradizioni ecclesiali continuano a esistere all’interno di un comune dogma, comuni sacramenti e un comune ordinamento dei ministeri. È il modello al quale è stata data maggiore attenzione dai teologi cattolici: il card. Willebrands lo propone nel 1970, approfondito da Fries e Rahner in un famoso numero delle «Quaestiones disputatae».

La discussione sui modelli di unità ha il merito di mettere in luce i vari livelli che entrano in gioco nel definire la chiesa: l’ordinamento dell’autorità, il rapporto parola – sacramenti, la presenza di unità e diversità, il dato storico-culturale e il dato dogmatico…

5. La teologia divide più del dogma. Quando l’ecumenismo viene trasferito a livello di vissuto del normale cristiano, di qualsiasi chiesa egli sia, si percepisce subito la difficoltà che le chiesa hanno nel distinguere i vari livelli di patrimonio religioso di cui sono portatrici: il dogma, la dottrina teologica, il diritto, la liturgia, le devozioni, l’organizzazione pastorale.

Si pensi al problema del calendario e della data della Pasqua, che tanto inutilmente ha affaticato alcuni pionieri dell’unità, si pensi allo scontro attorno al problema degli «uniati» che pure sono nati con l’intento di creare un ponte, si pensi all’interno dell’ortodossia il problema del riconoscimento di nuove entità ecclesiali nella diaspora, all’interno del cattolicesimo al rapporto tra unità e uniformità nella liturgia e nel diritto; perché un solo rito e due soli codici? perché il centralismo romano in occidente nel secondo millennio, quando nel primo millennio la chiesa è stata organizzata in pentarchia? Non è più realistico organizzare il cattolicesimo in patriarcati in base alle diversità culturali e continentali?…

Il metodo in teologia:

Il modo di fare teologia: il principio di analogia e la teologia dialettica di Barth.

Le teologie del terzo mondo.

«Le diverse concezioni della relazione tra parola e sacramento hanno portato a diverse sottolineature dell’importanza della predicazione e dei sacramenti» FeC Lund 1952, EO 6, 1779.

6. I fattori non teologici della divisione. «L’impatto dei cosiddetti fattori “non teologici” – sociali, culturali, politici, razziali e di altra natura – sul problema dell’unità» fu sollevato in diverse assemblee di FeC (FeC, Lund 1952, EO 1716).

«Il cristianesimo non deve  essere mai identificato con una qualsiasi cultura, poiché possiede un proprio spirito che trascende sempre le condizioni sociali, politiche e culturali. Lo Spirito crea unità, mentre una delle cause della divisione sta proprio nel trattare come assoluti fattori culturali che sono solo relativi» FeC, Lund 1952, EO 1753).

«Un fattore che richiese uno studio specifico è la tradizione della Chiesa di Stato, che in certi paesi continua a essere fonte di divisione fra le Chiese» (FeC, Lund 1952, OE 6, 1760).

Un tema che l’ecumenismo pratico prima o poi fa emergere è quello dei rapporti Stato-Chiesa, che viene affrontato in modo diverso nelle varie tradizioni cristiane. L’ortodossia è segnata dal modello della sinfonia (potere civile e potere religioso vanno d’accordo) e della chiesa nazionale (nazione/popolo e chiesa sono inseparabili). Le chiese uscite dalla Riforma, sia luterana che calvinista, sono chiese locali, che spesso giuridicamente sono chiese di stato (Ginevra e calvinismo, Svezia e luteranesimo, Inghilterra e anglicanesimo). Il cattolicesimo degli ultimi due secoli è giunto alla distinzione dei poteri tra società civile e religioni organizzate. Ma nel panorama ecumenico la chiesa cattolica è l’unica chiesa a proporsi con una componente statuale centralizzata (Santa Sede, Stato Città del Vaticano, diplomazia, via concordataria con gli stati). Va sottolineato che solo la tradizione cattolica ha elaborato una «dottrina sociale della Chiesa» (sbilanciamento sperimentato all’assemblea  ecumenica europea di Basilea 1989)

La «linea di Teodosio», ricordata da Moltmann. La forza dei «riti» nel determinare il sentire profondo, l’identità delle singole tradizioni e chiese: chiesa siriaca e copta e il problema del monofisismo, chiesa latina e scolastica, chiesa latina e peccato originale… La «cultura» determina l’identità religiosa quanto il dogma. L’ecumenismo constata che le chiese hanno lo stesso dogma, ma restano profondamente divise.

Oltre il confine dell’Impero cristiano (bizantino e romano): la cultura siriaca, la cultura copta.

7. Due conclusioni.

L’ecumenismo è un movimento, mai una meta. Grandis tibi restat via.

Lealismo di appartenenza: «Noi siamo una conferenza di chiese nella quale a nessuna viene chiesto di mancare di fedeltà alle proprie convinzioni e di accettare compromessi, ma siamo chiese assieme per farci conoscere dalle altre e cercare al tempo stesso di comprendere i loro punti di vista» (FeC Lud 1952, EO 6, 1713).

8. L’interrogativo che è necessario approfondire in permanenza: l’unità una meta storica o una prospettiva escatologica? L’unità può essere davvero una meta? è una parola teologicamente pronunciabile? è un modello viabile? è misurabile a carati come un lingotto d’oro?

O non è da sostituire con il concetto di diversità riconciliata?

È necessario porci questo interrogativo perché:

1) nel NT c’è già una pluriformità: i 4 vangeli, che la Chiesa ha sempre tenuto distinti sconfessando il Diatessaron, che pure aveva ricevuto cittadinanza della chiesa siriaca; le diverse teologie presenti nelle lettere.

2) il diverso modo di fare teologia che ha portato a una differenziazione sempre più profonda tra le chiese.

3) la differenza è già un dato storico che precede i canoni della chiesa indivisa dei primi 7 concili della chiesa indivisa: la chiesa armena, le cosiddette chiese monofisite (siriache orientali).

4) La «dissomiglianza sempre maggiore», enunciata del celebre principio del Lateranense IV (1215) sull’analogia tra l’uomo e Dio, va sempre richiamata al momento in cui si presentano affermazioni assolute.

5) Così come va tenuta presente l’obiezione previa delle teologia dialettica di K. Barth alla possibilità stessa di organizzare un discorso su Dio, affermato come «totalmente altro» rispetto all’uomo.

6) L’ecumenismo vive permanentemente il grande rischio/tentazione di porre al centro le chiese e non Cristo («il più grande ostacolo sulla via dell’unione tra i cristiani è il potere», card. König).

Anziché definire il «modello di unità» che si vuol perseguire e anziché affannarsi per misurare la quota di verità spettante ad ogni singola chiesa (i carati dell’ortodossia), è forse metodologicamente e psicologicamente più sano affermare e vivere già ora l’ecumenismo semplicemente come la migliore forma di conoscenza reciproca possibile tra le chiese e come uno stato di comunità riconciliata.

È dottrina consueta che le note della Chiesa espresse nel Credo Niceno-costantinopolitano, una, santa, cattolica e apostolica, vanno lette compiutamente collocandole in prospettiva escatologica. E allora, perché misurare i successi e gli insuccessi dell’ecumenismo solo con il metro e il calendario degli uomini?

L’ecumenismo deve essere considerato come un importante «complemento» di ogni trattazione sulla Chiesa. Il Credo definisce la Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica». «Una», ma storicamente sempre divisa; «santa», ma storicamente semper reformanda; «cattolica», ma, storicamente, quella cattolica è latina ed eurocentrica. Se dunque sia la nota della unità che quelle della santità e della cattolicità diventano pienamente dicibili solo in prospettiva escatologica, l’ecumenismo è davvero una nota «storica e teologica» aggiuntiva che colloca il farsi della Chiesa nella fatica del presente e nella storicità del credere. Cioè l’ecumenismo, con le sue gioie e i suoi dolori, deve essere preso in considerazione come un tratto essenziale nel definire la chiesa.

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