500 anni di Riforma, 50 di ecumenismo

SETTIMANA DI FORMAZIONE DEHONIANA (ALBINO, 28 AGOSTO – 1 SETTEMBRE 2017)

500 anni di Riforma, 50 di ecumenismo

Introduzione

Lorenzo Prezzi

Lorenzo Prezzi

Il senso di un percorso. L’idea di mettere a tema di questa settimana il quinto anniversario della Riforma protestante è sorta alla fine dell’appuntamento similare dell’anno scorso. È in qualche maniera obbligato dall’ordine del giorno della vita ecclesiale. Il nostro non è un appuntamento di storici. Ciò che ci interessa è il cammino della Chiesa e la testimonianza del Cristo. È il concilio Vaticano II che ci permette oggi un diverso approccio alla memoria storica. È la pratica di un dialogo ecumenico reale, con tutte le sue fatiche e i suoi risultati ciò che ci spinge a sentire come nostro il cammino delle altre confessioni cristiane. Ma soprattutto ad avvertire le sfide comuni del prossimo futuro: dalla secolarizzazione delle società occidentali ai mutamenti interni alle Chiese (l’emergere prepotente delle Chiese evangelicali nel protestantesimo, il peso crescente dell’ortodossia russa nell’ecumene ortodossa, la crescente frattura fra Nord e Sud nelle Chiese anglicane), dalle sfide del dialogo e del confronto interreligioso (fondamentalismo islamico compreso) fino alla costatazione di una nuova stagione delle persecuzioni antireligiose e, soprattutto, anticristiane (oltre le differenze confessionali).

I nuclei maggiori del lavoro che ci attende mi sembrano tre: il dialogo ecumenico nella nostra tradizione recente, la ripresa storica sotto aspetti inusuali e qualche traccia prospettica. Senza nulla togliere alla generosa pratica ecumenica che si è registrata in questi decenni nelle nostre comunità (penso al pastore Bertalot nel corpo insegnante dello studentato o al doppio ambone cattolico-valdese in alcune parrocchie o a un comune atteggiamento di favore nei confronti del dialogo ecumenico) credo che vada riconosciuto il ruolo significativo del Centro dehoniano, delle edizioni e delle riviste (da Il Regno a Settimana, da Testimoni a Rivisita di teologia morale) alla elaborazione e al sostegno dell’ecumenismo in Italia (e non solo). Se ci viene generalmente riconosciuto un merito nella ricezione conciliare, non di meno si deve dire dell’istanza ecumenica. Sostenuta sempre, anche in momenti non favorevoli. Ne va dato atto in particolare a p. Alfio Filippi. Se il pastore Paolo Ricca ha subito accettato l’invito è stato anche, così ha detto, per la riconoscenza di quanto i dehoniani hanno fatto nel dialogo interconfessionale. P. Fernando Garrapucho insegna ecumenismo a Salamanca (Spagna) ed è una voce autorevole in merito, oltre che essere un amico.

Il secondo nucleo è propriamente storico, affrontato con quel rigore e libertà di giudizio di cui Daniele Menozzi, professore alla scuola normale superiore di Pisa, ha sempre dato prova. In questi ultimi decenni molto è cambiato nella ricerca storica sulla Riforma e la formulazione che lui ha dato alla sua relazione è assai indicativa: L’età delle riforme religiose: riforma cattolica, riforma protestante, controriforma. Il filone storico che ne dovrebbe emergere viene arricchito da due prospettive meno usali. Quella musicale è affidata a don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale CEI per l’ecumenismo, diplomato in conservatorio oltre che laureato in teologia. Le musiche di Bach e Mozart sono state ecumeniche ben prima della teologia. Quella artistica e iconografica è affidata alla competenza di don Giuliano Zanchi, direttore del museo diocesano di Bergamo.

Il terzo nucleo è quello prospettico. La rilettura del saggio di Lutero La libertà del cristiano da parte di Paolo Ricca, il più noto e stimato dei teologi valdesi, aprirà il rapporto fede-libertà come patrimonio da investire nel futuro del cristianesimo. Così il tema del sacrificio ripreso da don Giovanni Ferretti, mostrerà i mutamenti della categoria teologica e filosofica alla prova del presente della fede cristiana. Infine il teologo benedettino Ghislain Lafont declinerà il compito della riforma non solo come obbedienza, ma anche come immaginazione. Ciò che è immaginato non è semplicemente qualcosa che non esiste, ma che non esiste ancora. Il non ancora dice la dimensione profetica di cui i grandi riformatori hanno dato testimonianza. Anche per noi.

Diversità inconciliabili e conciliate. Difficile sottovalutare lo sconvolgimento epocale prodotto dalla Riforma e le enormi conseguenze politiche, sociali e culturali. Non solo nei secoli XVI e XVII, ma per molti aspetti anche in quelli successivi. A noi interessa in particolare la prospettiva ecumenica, cioè il significato per il presente e il futuro della testimonianza cristiana. A partire dal fatto increscioso e peccaminoso che lì si divisero le strade della cristianità occidentale. Lutero, Zwingli e Calvino non volevano dividere la Chiesa. A loro interessava il rinnovamento dell’unica Chiesa cattolica. Si giunse tuttavia, a volte in circostanze drammatiche, alla perdita dell’unità della Chiesa, reciproche condanne e a una differenziazione confessionale, che per molti secoli fu vissuta e sentita come diversità irriconciliata. Di diversità riconciliate si parla con sempre più insistenza oggi. Con l’avvertenza che esse non significhino un semplice riproduzione del presente o il venire meno della forza dell’istanza unitiva. La Charta oecumenica del 2001, sottoscritta dalla KEK (conferenza delle Chiese europee) e dal CCEE (consiglio delle conferenze episcopali europee) ha espresso il proprio impegno a rispettare la diversità delle tradizioni cristiane: «Ci impegniamo: a superare l’autosufficienza e a a mettere da parte i pregiudizi, a ricercare l’incontro reciproco e a essere gli uni per gli altri».

Gesù, il credente e il popolo di Dio. Il 31 ottobre 2016 a Lund papa Francesco diceva: «Gesù ci ricorda: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Egli è colui che ci sostiene e ci incoraggia a cercare i modi per rendere l’unità una realtà sempre più evidente. Indubbiamente la separazione è stata un’immensa fonte di sofferenze e di incomprensioni; ma al tempo stesso ci ha portato a prendere coscienza sinceramente che senza di lui non possiamo far nulla, dandoci la possibilità di capire meglio alcuni aspetti della nostra fede. Con gratitudine riconosciamo che la Riforma ha contribuito a dare maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa». Ogni riforma ecclesiale autentica è ritorno al Cristo e al Vangelo. Oggi l’esigenza mi sembra quella di presentare e narrare il volto umano di Gesù, come rivelatore di Dio grazie a e nella sua umanità. I Vangeli sono scuola di umanizzazione, capaci di suggerire una umanità all’altezza dell’umanità di Gesù. Chiamati a salvare l’umano comune. Il suo modo di declinare l’umano e di viverlo è l’immagine e somiglianza con Dio.

Alla centralità cristologica aggiungo due sollecitazioni che vengono dal citato discorso di Francesco e dall’intervento di Benedetto XVI a Erfurt (23 settembre 2011). La prima riguarda il rispetto delle esigenze di unità del popolo di Dio. «Anche noi dobbiamo guardare con amore e onestà al nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono: Dio solo è il giudice. Si deve riconoscere con la stessa onestà e amore che la nostra divisione si allontanava dalla intuizione originaria del popolo di Dio, che aspira naturalmente a rimanere unito, ed è stata storicamente perpetuata da uomini di potere di questo mondo più che per la volontà del popolo fedele, che sempre e in ogni luogo ha bisogno di essere guidato con sicurezza e tenerezza dal suo Buon Pastore. Tuttavia c’era una sincera volontà da entrambe le parti di professare e difendere la vera fede, ma siamo anche consapevoli che ci siamo chiusi in noi stessi per paura o pregiudizio verso la fede che gli altri professano con un accento e un linguaggio diversi». La seconda è la ripresa oggi dell’interrogazione di Lutero. «”Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi infatti oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù … alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. La questione non ci preoccupa più. Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto?». «No. Il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente  al centro della nostra vita».

Da religiosi. Come congregazione siamo nati alla fine dell’800, dentro un clima certamente non ecumenico e in una posizione se non ultramontanista almeno fortemente ancora alla centralità del ministero petrino. Essere arrivati a celebrare l’anniversario della Riforma mi sembra appartenere al tema del «tradimento fedele». È il carisma che ci ha portato su queste sponde, interpretando e sostenendo il sentire ecclesiale. Parlando ai religiosi il 25 gennaio 2015 papa Francesco ha riconosciuto una specifica responsabilità dei consacrati nel processo ecumenico. «La volontà di ristabilire l’unità di tutti i cristiani è presente naturalmente in tutte le Chiese e riguarda sia clero che laici. Ma la vita religiosa che affonda le sue radici nella volontà di Cristo e nella tradizione comune della Chiesa indivisa ha senza dubbio una vocazione particolare nella promozione di questa unità. Non è d’altronde un caso che numerosi pionieri dell’ecumenismo siano stati uomini e donne consacrati». Ed elencava tre requisiti indispensabili: «Non c’è unità senza conversione. La vita religiosa ci ricorda che al centro di ogni ricerca di unità, e dunque di ogni sforzo ecumenico, vi è anzitutto la conversione del cuore, che comporta la richiesta e la concessione del perdono … Non c’è unità senza preghiera. La vita religiosa è una scuola di preghiera. L’impegno ecumenico risponde, in primo luogo, alla preghiera dello stesso Signore Gesù e si basa essenzialmente sulla preghiera … Non c’è unità senza santità di vita. La vita religiosa ci aiuta a prendere coscienza della chiamata rivolta a tutti i battezzati: la chiamata alla santità di vita, che è l’unico vero cammino verso l’unità».

Sul fronte dell’ecumenismo e della vita consacrata vi è un elemento di fatto e un indirizzo di diritto. L’elemento di fatto è l’avvenuto superamento delle riserve in ordine alla vita consacrata nelle confessioni cristiane. Per la prima volta dopo cinque secoli tutte le Chiese cristiane convergono su un giudizio di valore in ordine alla vita consacrata. Essa è parte delle forme essenziali della vita ecclesiale. Si tratta di una conferma e un affinamento per quanto riguarda la Chiesa cattolica e quella ortodossa (per la vita monastica), mentre per quelle protestanti e anglicane è un mutamento di rilievo, anche se non propriamente un rovesciamento. Due date di riferimento: nel 2007 il Consiglio delle Chiese protestanti tedesche (EKD) approva un voto in cui afferma: le comunità monastiche e di vita comune «sono un tesoro della Chiesa evangelica, da custodire e da sviluppare». Le altre date riguardano la Comunione anglicana. Nelle conferenze di Lambeth del 1897, 1930 e 1968 si indica la vita comune come un «fenomeno di primaria importanza».

L’indirizzo di diritto riguarda non solo il dialogo ecumenico, ma anche interreligioso: l’equilibrio vitale fra dato oggettivo della fede (dogma), radicalità della scelta di vita e apertura dialogica. Si è ecumenici non perché si appanna l’appartenenza alla propria Chiesa, ma per l’esatto contrario. La radicalità dell’adesione al proprio patrimonio confessionale motiva l’autentica capacità di capire il deposito altrui. Nella stessa maniera si opera nei confronti delle altre religioni. Chi segue una religione la ritiene la religione vera. È una assolutezza che il religioso ha stampato nel proprio vissuto. Egli sa anche che l’adesione soggettiva non può essere confusa, né separata o relativizzata, rispetto alla verità oggettiva. Per il cristianesimo in particolare non si tratta di una verità razionalisticamente fissata, ma di una Persona (Gesù Cristo), rispetto a cui non si dà possesso, ma continua interpretazione e approfondimento. L’equilibro fra scelta personale incondizionata, verità “oggettiva” e dono dello Spirito rende la vita consacrata «un modello fondamentale di missione e di annuncio del Vangelo di Cristo» (EVC, 7251).

Opera dello Spirito. In una occasione come questa, fatta certo di relazioni e discussioni, ma anche di rapporti fraterni  e di occasioni di preghiera, è opportuno indicare anche la dimensione propriamente spirituale di ogni tendenza alla riforma ecclesiale (cf. L. Manicardi, «Riformare: aspetti spirituali», in Parole Spirito e Vita, n. 75, pp. 213 ss.). Necessaria per rinnovare la fedeltà della Chiesa al Vangelo e dunque alla propria vocazione, per superare i momenti di decadenza e per adeguare la vita cristiana al mutare dei tempi, la riforma appare un’istanza spirituale costitutiva della Chiesa e si esprime in riforme. Le concrete riforme storicamente avvenute, e pertanto verificabili storicamente a partire dalle testimonianze e dalle fonti, danno dunque concretezza alla riforma, la quale – afferma Jedin – “come rinnovamento interiore della Chiesa, suo visibile ritrovarsi, suo ripiegarsi entro se stessa sui compiti assegnatile dal Cristo, è sempre opera dello Spirito Santo e come tale si compie nell’intimità dell’anima sotto l’influsso della grazia”».

Ri-forma ha quindi un senso iterativo, processo mai veramente compiuto, memoria del fine della storia e della  Chiesa. Si delinea così come memoria escatologica. Ri-forma è declinata anche in senso restituivo. «Esso richiede la convinzione della propria fallibilità, la coscienza di essere realmente peccatori, e la forza di uscire dai meccanismi di auto giustificazione che paralizzano e impediscono ogni movimento di conversione». Il senso restituivo è memoria delle origini. Si aggiunge infine un senso responsoriale. «Il soggetto della riforma nello spazio cristiano, dunque tanto nella vita del singolo quanto della Chiesa, è il Signore stesso nella potenza dello Spirito». Responsoriale significa dunque risposta e responsabilità nei confronti della vocazione, della chiamata evangelica, della Parola del Signore.

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