Bicicletta nella discarica

Passando per l’invadente cantiere stradale di Bologna, ieri l’attenzione mi è caduta su uno dei tanti lavoratori che con la paletta verde-rosso in mano regolano i passaggi alternati.

Il pensiero è andato immediatamente a Mohamed (nome di fantasia), che avevo a lungo ascoltato poco prima durante un altro penoso colloquio in carcere. E vi spiego perché.

Mohamed ha lavorato come muratore qualificato dal 1994, quando è arrivato in Italia, fino al 2011. Mai un giorno di malattia, sempre disponibile per straordinari dal momento che la sua famiglia era rimasta in un piccolo villaggio del Marocco. Così Mohamed non aveva affetti in Italia, ma aveva tempo che poteva impegnare per mantenere la moglie e i sei figli in Marocco.

Di buon carattere e generoso si è sempre fatto apprezzare dai colleghi del cantiere e dal datore di lavoro che lo ricompensava con uno stipendio adeguato al suo livello. Nonostante la nostalgia, era felice di poter provvedere al sostentamento della sua famiglia, che non aveva altri proventi.

Il 2011 segna la svolta drammatica. In seguito al venir meno degli appalti per la crisi edilizia, il datore di lavoro invita Mohamed a prendersi un periodo di aspettativa. Ne approfitta per tornare dalla sua famiglia e prestarsi per qualche lavoro edile nel suo villaggio. Poi la disgrazia.

Lavorando alla ristrutturazione di una casa, il cedimento di un muro gli colpisce la mano destra. Per le risorse sanitarie disponibili nel suo contesto, deve accettare l’unica soluzione: l’amputazione della mano. Tutto il mestiere accumulato in anni di lavoro può esercitarlo soltanto in forma ridotta, impossibilitato a competere con muratori anche meno bravi di lui.

Torna in Italia. La commissione competente gli riconosce il 65% di invalidità: insufficiente per ottenere un’indennità ma sufficiente a impedirgli di lavorare in un cantiere «per ragioni di sicurezza».

Mohamed non si perde d’animo. La sua famiglia dipende da lui, perché in un piccolo villaggio distante più di 60km dalla città più vicina non c’è lavoro per la moglie.

Potrebbe imboccare la scorciatoia dello spaccio, come hanno fatto tanti prima di lui e altrettanti continuano a fare. Ma Mohamed non vuole “fare del male” ad altri per non stare male lui. Per lo stesso motivo non vuole rubare quello che ad altri è costato fatica comperare. E lui sa cosa sia la fatica e il costo della vita.

Con una sola mano ma con doppia buona volontà si dedica a ricuperare dai rifiuti quello che può essere rivenduto. «Ero anch’io capace di “robare” una bicicletta di valore, ma non sarebbe stato giusto». Ed è così che ricupera gli scheletri delle biciclette dalla discarica. Ma viola la recinzione, viene denunciato, arrestato, condannato a 2 anni e 6 mesi. Per aver “rubato” quello che altri hanno semplicemente buttato via.

La condanna è inferiore a 4 anni e perciò potrebbe chiedere la detenzione domiciliare, visto che è in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Ma la casa l’ha persa insieme al lavoro che gli permetteva di pagare l’affitto.

Ora lo incontro in carcere e i nostri colloqui finiscono sempre in lacrime, al pensiero della famiglia che – non so con quale coraggio – gli rimprovera di non provvedere al loro sostentamento.

Abbiamo presentato all’équipe del carcere la disponibilità di Casa Corticella ad accoglierlo in affidamento. Mohamed accetta solo se può contare su un lavoro che gli permetta di mandare qualcosa in famiglia. «In carcere a me non manca niente. Se esco non voglio che sia per stare meglio io, voglio che sia per poter mandare qualcosa ai miei figli».

I Servizi sociali di Padova, dove ha dimorato e lavorato per 17 anni, rispondono che ora non risiede più sul territorio di loro competenza e perciò non possono inserirlo nei loro progetti. La commissione competente ha confermato lo scorso anno l’invalidità a quella quota sfortunata che non gli permette né di lavorare né di percepire un’indennità.

L’équipe del carcere sta operando per trovargli qualche opportunità di lavoro, almeno per il tempo dell’esecuzione penale residua. Ma finora niente. Per un datore di lavoro l’invalidità è un problema non solo per la menomazione delle capacità, ma ancor più per le normative stringenti sulla sicurezza e i portatori di handicap.

Vedendo quell’operaio sul cantiere – probabilmente un suo connazionale – con la paletta in mano ho sperato di poter vedere presto Mohamed con il giubbotto arancione a far passare le macchine. Ma saprebbe fare – e bene, perché è un gran lavoratore – anche in una lavanderia o a presidiare una portineria, o… L’operaio con la paletta in mano mi fa segno di passare. Ma i sogni non passano. Ogni tanto mi arrabbio per questi cantieri che stanno trasformando Bologna in un’immensa Via crucis. Oggi mi sono arrabbiato di più per le Vie crucis che Bologna e tutti noi impalchiamo per i Mohamed che si accontentano di vivere di quello che noi scartiamo. E mai una paletta verde per un futuro più dignitoso. Anzi, semplicemente dignitoso.

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